La Mostra di Michele Anselmi per Cinemonitor | 17

A quanto pare i russi sono “eccellenti” torturatori. Li abbiamo visti atrocemente all’opera nel film “Vidblysk”, ambientato nel 2014, primo anno della guerra tra Russia e Ucraina; ed eccoli, il giorno dopo, in “Kapitan Volkonogov Bezhal”, ambientato nell’Unione sovietica del 1938, quando la caccia paranoica “al traditore” produsse forsennate ingiustizie e uccisioni di massa. Il titolo significa “Il capitano Volkonogov è fuggito”, e c’è un motivo se quel giovane ufficiale calvo e muscoloso, tra i più zelanti in una specie di Čeka (“Commissione straordinaria di tutte le Russie per combattere la controrivoluzione e il sabotaggio”), se la dà a gambe poco prima di essere a sua volta epurato. Ma non pensate a un film come “Il cekista” del 1998 o ad altri sul tema delle “purghe” staliniane. I due registi russi, cioè Natasha Merkulova e Aleksey Chupov, definiscono il loro film “una parabola post-moderna con elementi di thriller contemporaneo, una favola nera su un carnefice che scopre all’improvviso di avere un’anima”.

Si spiega così, forse, l’eccentrico look, un po’ da “graphic novel” distopico, con qualche suggestione alla Orwell, impresso agli abiti degli sbirri. Non più cappottoni e cappelli scuri, ma sgargianti divise rosse, simili a tute con strisce laterali, più camicie scure dai colletti button-down, cravattine vermiglie e giubbotti moderni di pelle nera. Si sentono il braccio armato del regime comunista, una specie di corpo scelto: arrestano, seviziano, strappano confessioni e giustiziano con un colpo di pistola alla nuca. I corpi degli sventurati scompaiono in fosse comuni, le famiglie delle vittime non saranno mai avvisate.

L’ingranaggio sembra perfettamente rodato, ma poi c’è il fattore umano: temendo di finire all’inferno per tutte le crudeltà commesse, il giovane capitano Volkonogov sfugge all’arresto e ruba un dossier segreto che userà per contattare, ad uno ad uno, i parenti dei presunti “traditori” scomparsi. In cambio delle sue scuse a nome dello Stato, chiede il loro perdono, s’intende per conquistarsi il paradiso prima che i suoi ex compagni lo raggiungano.

Può esistere un paradiso per i torturatori? Potranno mai redimersi anche dopo aver espiato le loro colpe? Abbiamo visto come affronta la questione Paul Schrader col suo torvo e magnifico “Il collezionista di carte”, che evoca le nefandezze di Abu Ghraib. Il film russo sceglie una diversa strada, sul piano cromatico e drammaturgico, ma per interrogarsi più o meno sugli stessi dilemmi morali.

Scandito dalle note di “Poljuško Pole”, popolare inno dell’Armata Rossa (ma nel finale c’è una sorpresa), il film spiazza e turba allo stesso tempo. All’inizio non sai bene come prendere il disinvolto sincretismo estetico praticato dai due autori; poi, però, tra echi di Gogol e Dostoevskij, si precisa la descrizione neanche troppo grottesca di un abominio di massa, tipico delle dittature comuniste: fondato sul sospetto, la manipolazione, la delazione, la menzogna, la distruzione psicofisica dell’individuo. “Abbiamo ucciso tutti, non c’è più nessuno che lavori” ammette un maggiore a proposito dei suoi stessi sottoposti finiti nel tritacarne stalinista. Di sicuro un film che non raccomanderei al regista Citto Maselli, il quale appena due giorni fa ha detto: “Sono comunista da quando avevo quattordici anni e lo sono rimasto”. Il film, qui in concorso, sarà distribuito in Italia da I Wonder Pictures.

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Diciamo che Jamie Lee Curtis meritava di meglio, come corredo al meritato Leone d’oro alla carriera ritirato oggi. A 62 anni l’attrice americana, che fu spiritosa e molto sexy in film come “Una poltrona per due” o “Un pesce di nome Wanda”, invecchia bene, senza ritocchi mostruosi. Giustamente prende ciò che passa il convento, sicché il nuovo ciclo dell’eterna saga horror di “Halloween”, cominciata nel 1978, le ha ridato nuovo lavoro, sempre nei panni dell’eroina Laurie Strode che seppe fronteggiare il killer psicopatico con la maschera bianca. In questo “Halloween Kills”, seguito di un episodio del 2018, lei compare poco. Pensava di aver bruciato vivo il malefico Michael Myers, invece si ritrova in ospedale, con quel parruccone da nonna in testa, dopo una micidiale coltellata al ventre. “We fight, we always fight” scandisce all’amico poliziotto nel letto accanto, promettendo battaglia; ma ancora non sa che “the boogeyman”, ovvero l’uomo nero, ha preso di mira sua figlia e sua nipote, mentre la cittadina di Haddonfield comincia a dare i numeri per la psicosi collettiva.

Il film, diretto da David Gordon Green, uscirà il 21 ottobre con Universal. Anche qui ci sono atrocità di ogni tipo, ma rispetto al film russo non fanno riflettere neanche un po’.

Michele Anselmi