L’angolo di Michele Anselmi | Scritto per Cinemonitor
Si chiama “Spira Mirabilis” l’outsider italiano tirato fuori all’ultimo minuto dal direttore della Mostra di Venezia per il concorso. Il colpo inatteso, destinato forse a sparigliare i giochi, come accadde nel 2013 con “Sacro Gra” di Gianfranco Rosi. Trattasi di un documentario artistico/filosofico, il secondo capitolo, dopo “L’infinita fabbrica del Duomo”, di un’ambiziosa tetralogia sull’immortalità attraverso i quattro elementi della natura pensata dai cineasti milanesi Massimo D’Anolfi e Martina Parenti. Sottratto al Festival di Locarno che fortemente l’avrebbe voluto, “Spira Mirabilis” è uno dei tre titoli tricolori in gara per il Leone d’oro: gli altri due sono “Piuma” di Roan Johnson e “Questi giorni” di Giuseppe Piccioni.
Domani, giovedì 28 luglio, Alberto Barbera presenta a Roma il menù della 73ª edizione (31 agosto-10 settembre), e sapremo nero su bianco. La selezione italiana è tradizionalmente un tasto delicato, perché vi confluiscono pressioni e desideri, esigenze di vetrina e rischio di stroncatura. Tre, per la pattuglia italiana, è tradizionalmente il numero perfetto: non sbilancia il rapporto “diplomatico” con le altre cinematografie e garantisce una presenza considerevole ai colori nazionali. Però ogni tanto i direttori si allargano, per entusiasmo. L’anno scorso, ad esempio, Barbera ne inserì quattro: “Per amor vostro” di Giuseppe Gaudino, “Sangue del mio sangue” di Marco Bellocchio, “A Bigger Splash” di Luca Guadagnino e “L’attesa” dell’esordiente Piero Messina. Non proprio dei capolavori, ma il primo del quartetto, almeno, regalò una Coppa Volpi alla protagonista Valeria Golino.
C’è grande segretezza attorno a “Spira Mirabilis”, che i due autori, una coppia anche nella vita, presentano così: «Simbolo di perfezione e di infinito, “la spirale meravigliosa”, come venne definita dal matematico Jackob Bernoulli, è una spirale logaritmica il cui raggio cresce ruotando e la cui curva si “avvolge” intorno al polo senza però raggiungerlo mai». Aggiungono: «Il concetto di immortalità inteso come proprietà di vivere per sempre implica una nascita e un superamento della morte e noi vorremmo affrontare questo concetto attraverso una prospettiva “umanista” per restituire la grandiosità delle aspirazioni e dell’agire umano in grado di travalicare il tempo e le generazioni». Difficile capirci qualcosa, ma ci sarà tempo per scoprire se e quanto c’entrino, come si vocifera, i cosiddetti native americans, cioè gli indiani d’America.
Si va più sul classico con gli due titoli in competizione. Roan Johnson, già regista dei gustosi “I primi della lista” e “Fino a qui tutto bene”, racconta in chiave di commedia agrodolce una gravidanza inattesa e le turbolenze che ne derivano. Spiega il cineasta: «Un figlio a diciotto anni non si augura a nessuno: è l’errore sommo, l’incidente che ti rovina la vita, lo sbaglio epocale. Bisogna essere pazzi per infilarsi in un casino del genere nel momento più spensierato dell’esistenza. Pazzi come Ferro e Cate…», cioè i due giovani interpretati da Luigi Fedele e Blu Yoshimi.
Mentre Giuseppe Piccioni, che torna a quattro anni dal notevole “Il rosso e il blu”, si ispira al romanzo di Marta Bertini “Color betulla giovane” per narrare le scorribande notturne e le umanissime aspettative di quattro ragazze di provincia alle prese con un viaggio a Belgrado denso di sorprese. Nel film, accanto alle giovani protagoniste, i più maturi Margherita Buy e Filippo Timi.
Quanto al resto della compagine tricolore, salvo inserimenti dell’ultimo minuto, tra Orizzonti ed Eventi speciali risulta certa la presenza di titoli come “Sole, cuore, amore” di Daniele Vicari, “L’intelligenza del maschio” di Kim Rossi Stuart e “L’estate addosso” di Gabriele Muccino (delle prime due puntate del televisivo “The Young Pope” di Paolo Sorrentino già si sapeva). Dopo discreto palleggiamento, ha preso la via dei Venice Days, cioè le Giornate degli autori pilotate da Giorgio Gosetti, il tosto “Indivisibili” di Edoardo De Angelis. Michele Placido, che pure aveva pronto il suo “Sette minuti”, ha preferito destinare il film alla Festa di Roma. Si può capirlo: Venezia gli ha riservato negli ultimi anni parecchie delusioni, meglio l’Auditorium romano a ottobre, più confortevole e rassicurante, dove nessuno fischia e rumoreggia.
Michele Anselmi