L’angolo di Michele Anselmi

“Venite alla Mostra. Speriamo che possiate godervela in sicurezza e con piacere” sospira Roberto Cicutto, nuovo presidente della Biennale dopo l’addio del veterano Paolo Baratta. Soprattutto in sicurezza, direi. “Il cuore della Mostra è salvo, anche se abbiamo dovuto ridurre un po’ i film, ma non troppo” spiega Alberto Barbera, direttore uscente con probabile riconferma in tasca. Magari invece qualche taglio in più al palinsesto non avrebbe guastato, se è vero che questa edizione, a partire dal manifesto di Mattotti, suggerisce una certa dimensione “trapezistica”, quindi rischiosa, legata ai noti fatti di questi mesi.
La 77ª Mostra internazionale del cinema, 2-12 settembre, è stata presentata oggi con una conferenza stampa “in streaming”, dalla sede veneziana di Ca’ Giustinian, e purtroppo neanche nell’anno dell’emergenza Barbera ha cambiato modalità di esposizione. Al solito ha citato tutti i 62 lungometraggi in menù, l’uno dopo l’altro, aggettivandoli alla sua maniera, tra “eccentrico” e “scatenato”, “spericolato” e “stravagante”: pare proprio che non ci sia nulla da fare. Domande dei cronisti? Non previste.
“Non sarà un festival autarchico” aveva promesso il direttore, cioè ricolmo di titoli italiani. Tuttavia la sensazione è proprio quella: un film tricolore, “Lacci” di Daniele Luchetti, inaugura la Mostra fuori concorso il 2 settembre; un altro, “Lasciami andare” di Stefano Mordini, la chiude il 12 settembre, e nella categoria extra-gara c’è anche “Assandire” di Salvatore Mereu. Ma soprattutto fa un discreto effetto, anche se in molti l’avevano previsto con una certa malizia, la presenza di quattro titoli italiani in concorso, rompendo una regola non scritta che consiglia di fermarsi a tre. Il quartetto in questione è questo: “Le sorelle Macaluso” di Emma Dante; “Miss Marx” di Susanna Nicchiarelli, definita “il nuovo grande talento del cinema italiano al femminile”; “Padrenostro” di Claudio Noce; il documentario creativo ”Notturno” di Gianfranco Rosi. Come vedete non c’è “Tre piani” di Nanni Moretti, ma già in buona misura si sapeva; concesso a Cannes 2020, poi saltato, il film uscirà in Italia nei primi mesi del 2021 e chissà che non ci riprovi sulla Croisette.
Concorso e fuori concorso a parte, l’Italia è un po’ dappertutto, tra documentar e film di finzione: da Luca Guadagnino che porta il suo “Salvatore, shoemaker of dream” su Ferragamo a Giorgio Verdelli, da Barbera chiamato Carlo come il giornalista, che presenta “Paolo Conte, via con me”, da Salvatore Mereu con “Assandire” a Martina Parenti e Nassimo D’Anolfi con “Guerra e pace”, da Giorgio Perdersoli, figlio di Bud Spencer, con “La verità su La dolce vita” a Pietro Castellitto, figlio di Sergio, con “I predatori”.
Naturalmente sarà una Mostra a forte connotazione europea, per ovvie ragioni anche logistiche, con qualche incursione asiatica e pochi film americani in senso stretto, nessuno di grande richiamo mediatico o divistico, ma d’altro canto l’annata è quella che è: molti titoli hollywoodiani non sono pronti o le major hanno deciso di rinviarne l’uscita in sala di molti mesi.
Qualche nome sul fronte dei 18 film concorso, italiani a parte? L’israeliano Amos Gitai, che non manca mai, con “Laila in Haifa”, il russo Andrei Konchalovsky con “Cari compagni”, l’americana Chloé Zhao con “Nomadland”, la francese Nicole Garcia con “Amants”, il giapponese Kiyoshi Kurosawa con “La moglie della spia”.
Abbastanza fitto il concorso anche di “Orizzonti”, che per Barbera non deve essere considerata una sezione secondaria, ma così ha finito col sembrare. Se fa piacere il ritorno dell’anglo-italiano Uberto Pasolini con “Nowhere Special” bisognerà prepararsi a un notevole tedio con il filippino Lav Diaz di “Lahi, Hayop”.
Si poteva fare di meglio? Vai a saperlo. Barbera e i suoi selezionatori hanno fatto di necessità virtù, puntando sulla dimensione squisitamente d’autore, anche di sperimentazione, di molti film, in linea con la vocazione storica della Mostra.
All’inizio della sua breve prolusione, il presidente Cicutto aveva scandito: “Ci siamo, l’abbiamo voluto strenuamente. Non contro la ragionevolezza di poterlo fare all’interno delle norme di sicurezza, ma senza dimenticare le vittime del Covid, le gravi conseguenze economiche che tutti i settori stanno affrontando”. La frase suona un po’ contorta, ma si capisce il senso: la Mostra sarà “in presenza”, cioè con persone in carne e ossa, e questo comporterà, ovviamente, un rigido protocollo sanitario in modo da permettere a chi parteciperà di muoversi “nella sicurezza più sicura” (sempre Cicutto).
In altre parole ci saranno varchi con controllo della temperatura corporea, biglietterie solo digitali, rigido distanziamento sociale nelle sale con una sedia vuota in mezzo e sul red carpet per i fotografi, proiezioni contemporanee dello stesso film in più sale, posti numerati e due arene in aggiunta, mascherine obbligatorie, tracciamento di tutti i partecipanti, eccetera. Basterà a favorire l’arrivo degli accreditati, per quanto tagliati rispetto agli altri anni? E le file in attesa delle proiezioni come saranno gestite? Per non dire della sanificazione degli impianti di aria condizionata.
“L’inverno del nostro sconcerto si è tramutato in una primavera di angoscia, per poi scivolare lentamente in un’estate contrassegnata dall’incertezza e dal timore per un futuro inquieto” scrive Barbera sul catalogo. Vale anche, in qualche modo, per chi si avventurerà al Lido da 2 al 12 settembre.

Michele Anselmi