Vent’anni fa, usciva nelle sale The Truman Show, un film che anticipava l’esasperazione mediatica del format “reality show”. La trama è nota: Truman Burbank, interpretato da Jim Carrey, è l’inconsapevole protagonista di un reality show. La sua vita preconfezionata procede secondo copione fino a quando non si manifesta l’insidioso sospetto che tutto sia terribilmente falso.
Peter Weir ci ha regalato la versione che tutti conosciamo: le casette color pastello della cittadina caramellata di Seaside in Florida, gli elementi pop, la faccia buffa di Carrey, un misto di commedia surreale e dramma. Dopo vent’anni si scopre, però, la prima bozza della sceneggiatura firmata da Andrew Niccol – una delle circa sedici versioni che hanno anticipato la stesura definitiva – permeata da toni cupi e drammatici, tanto da far assomigliare The Truman Show ad un film di David Fincher.
Prima che Weir entrasse nel progetto, il nome del film era The Malcom Show e nella versione originaria della sceneggiatura il mondo di descritto è una falsa New York, grigia, piovosa e cupa, costruita in uno studio di Hollywood. Truman è un alcolizzato, anaffettivo e asociale. Sono presenti scene degne di un thriller, ad esempio quella in cui Truman minaccia di uccidere un neonato solo perché la madre si rifiuta di ammettere di essere un personaggio fittizio oppure la scena di una violenza sessuale sulla banchina di una metropolitana.
Pensare che Jim Carrey avesse potuto interpretare questo tipo di scene appare decisamente inverosimile: probabilmente mantenendo questa versione così dark sarebbe stato necessario pensare a un attore protagonista con altre caratteristiche.
Anche il finale è leggermente diverso, nella prima stesura Truman prende in ostaggio una guida turistica e fugge attraverso un backlot di Hollywood, sul tetto dell’edificio è ambientato lo scontro finale con Christoff, il Deus ex machina.
Quando Peter Weir ha deciso di entrare nel vivo del progetto, ha reputato la sceneggiatura iniziale di Andrew Niccol troppo cupa e angosciante, con un protagonista eccessivamente depresso e nichilista. Coinvolgere Jim Carrey nel film ha significato cambiare rotta, scegliere un tono differente, più giocoso e scanzonato, senza rinunciare all’originalità del soggetto.
Weir ha pensato al grande pubblico, probabilmente con la consapevolezza che senza quegli aggiustamenti sarebbe stato difficile far passare il progetto tra le sottili maglie dei finanziamenti dell’industria del cinema. L’idea iniziale di Niccol era probabilmente molto più cruda e forse più vera, ma, seppur edulcorato, The Truman Show rimane un cult, un atto di consapevolezza su quanto sia difficile distinguere il falso dal vero. A questo link è possibile leggere la prima versione dello script.

Chiara Pascali