L’angolo di Michele Anselmi | Scritto per “il Secolo XIX”
«Siete carbonara d’opinione?». «No, so’ carbonara de spaghetti». Trattandosi di un film di Gigi Magni, quirite doc e appassionato studioso della romanità, “La Carbonara” non poteva che giocare sull’equivoco politico-gastronomico. Nel 2000, forse fuori tempo massimo rispetto all’imporsi di nuovi gusti e stili cinematografici, il regista tornò ai suoi temi preferiti, e cioè le crudeltà dei Papi contro i “giacobini” cospiratori, nella comprensibile speranza di riagganciare l’antico pubblico. Il film non fu un successo, ma chissà che, alla distanza, non sia da rivalutare.
Luigi Magni, detto Gigi, anzi Giggi, è morto domenica 27 ottobre nella sua bella casa di via del Babuino, dove s’era rinchiuso da tempo, colpito da una malattia degenerativa, senza più uscire. Aveva 85 anni. L’ultima sua regia risale al 2003, per la tv: “La notte di Pasquino”, con l’amico di sempre Nino Manfredi che riprendeva malinconicamente, a 24 anni da “Nell’anno del Signore”, il ruolo del ciabattino Cornacchia, autore appunto delle celebri “pasquinate” satiriche contro il potere temporale della Chiesa. La Roma ottocentesca era la sua passione. Vi riversava gli ingredienti del suo cinema popolare: allegro anticlericalismo critico; scanzonata polemica contro i poteri costituiti; passione risorgimentale; ambivalente atteggiamento di attrazione/repulsione verso il popolo ereditato dal grande modello dei “Sonetti” del Belli. Il tutto condito da continue allusioni ai compromessi e al trasformismo della politica italiana contemporanea, come nel caso di “In nome del papa re”.
“Cattomunista” si definiva, rivendicando orgogliosamente l’appartenenza a quei due grandi, pure controversi, mondi ideali. Schivo, talvolta burbero in pubblico, sempre gentile in privato, Magni celava sotto la maschera dell’ironia, anche sarcastica, una coriacea passione politica, in sintonia con l’amico Mario Monicelli che l’aveva preso a collaborare con sé nei primi anni Sessanta. Non ha firmato molti film, il primo da regista, “Faustina”, risale al 1968; però già un anno dopo, con “Nell’anno del Signore”, avrebbe fatto centro al botteghino, riuscendo ad ottenere dal produttore Bino Cicogna un cast pazzesco: Manfredi, Tognazzi, Sordi, Cardinale, Salerno. Può darsi che alcuni dei suoi film siano stati sottovalutati dalla critica, per esempio “Scipione detto anche l’Africano” con i fratelli Mastroianni, ma certamente c’è stato un periodo in cui Magni ha incarnato un’idea di cinema popolare, semplice e complesso, romanissimo e nazionale, capace di raccontare la grande Storia partendo da piccole storie.
Michele Anselmi