L’angolo di Michele Anselmi | Scritto per Cinemonitor

Un viso straordinario, per mobilità ed eleganza; una voce profonda e duttile, capace di assumere anche le cadenze americane del vecchio Sud; una carriera in bilico tra teatro, tv e cinema, assecondando un istrionismo mai fine a se stesso. È morto, a 77 anni, ucciso da un cancro al pancreas che lo divorava da tempo, John Hurt, anzi Sir John Vincent Hurt, attore britannico, nato a Chesterfield il 22 gennaio 1940 e lì scomparso ieri 27 gennaio 2017. Le agenzie e i siti lo dipingono come “grande caratterista”, anche nel repertorio shakespeariano, ma basta avere visto uno dei suoi 80 film per rendersi conto che John Hurt faceva la differenza, sempre, pure nei più brutti (e ne fece di brutti).
Sta per uscire “Jackie” di Pablo Larraín e anche lì lo troviamo, smagrito e invecchiato, ma sempre capace di portare sul set quell’eleganza malinconica che ha contraddistinto tanti dei suoi personaggi. John Hurt amava mascherarsi nei film: con barba o senza barba, coi capelli lungi o quasi rasato, con abiti moderni o pelli da vichingo, proletario o capitalista, servo o re, si vede che si divertiva. Al punto da accettare di girare un intero film, “The Elephant Man” di David Lynch (1980), scomparendo sotto un mascherone deformante da macrocefalo che gli procurò una meritata nomination all’Oscar, ma non la vittoria.
Alcuni dei suoi titoli? “Un uomo per tutte le stagioni” (1966), “Fuga di mezzanotte” (1978), “L’australiano” (1978), ”Alien” (1980), “I cancelli del cielo” (1980), “Orwell 1984” (1984), “Il campo” (1990), “Dean Man” (1995), “V per Vendetta” (2007), “La talpa” (2011), anche tre episodi della saga di Harry Potter”, il notevole film tv “Recount” (2008).
Dovunque, come certi grandi attori capaci di adattarsi ai ruoli più diversi senza rifare perennemente se stessi, John Hurt portava un’idea “giocosa” del mestiere, anche quando i personaggi risultavano meschini o perdenti, diabolici o fragili. Era piccolo di statura, a suo modo molto bello, gran bevitore di whisky, si sposò quattro volte. Mi dispiace davvero che sia morto. Diceva di sé: “Diventare una star non è mai stata una mia ambizione, anzi, ancora oggi mi sento a disagio”.

Michele Anselmi