L’angolo di Michele Anselmi
Se l’applausometro conta qualcosa, “The Whale” di Darren Aronofsky fu uno dei film più apprezzati dai festivalieri alla Mostra di Venezia 2022. Alcuni dei quali, ricordo, parlarono addirittura di “indiscutibile Leone d’oro”. Non andò così, forse pure giustamente. Ma di sicuro la prova fornita da Brendan Fresar, così estrema e totale, è di quelle che strappano ammirazione e molto piacciono ai giurati degli Oscar: infatti è nella cinquina per il miglior attore protagonista (non vincerà).
“The Whale” esce giovedì 23 nelle sale italiane, targato I Wonder Pictures, e certo non è una passeggiata. Il newyorkese Aronofsky, già Leone d’oro al Lido, s’è rivolto a una pièce teatrale di Samuel D. Hunter, trovando in Fraser, attore assai gettonato ai tempi di “La mummia”, anche per la sua bellezza, un protagonista perfetto. Negli anni Fraser è parecchio ingrassato, ma certo non come il Charlie – il trucco “prostetico” è davvero impressionante – di questa vicenda cupa e struggente, desolata e romantica.
Murato vivo da anni nella sua casa, ormai incapace o quasi di muoversi a causa dei 270 chili, l’obeso è un professore di letteratura che tiene corsi on line, oscurando, per vergogna, la propria immagine agli studenti. Dotato di una suadente voce, sente su di sé l’alito della morte, anzi quasi la cerca, trangugiando junk-food in quantità industriale. Non vuole farsi ricoverare nonostante i consigli dell’amica e medica Liz, dice di non avere soldi, ma chissà se è proprio così.
“Guardami, chi vorrebbe che facessi parte della sua vita?” sospira alla figlia Ellie che non vede da otto anni, oggi è sedicenne. Astiosa, sveglia e insultante, lei non gli ha mai perdonato di aver mollato la famiglia per vivere con un giovane allievo, poi lasciatosi morire.
Nella prima scena vediamo Charlie masturbarsi di fronte a un film porno-gay, ma il prof. ha un animo gentile e soave, una parola carezzevole per tutti, vorrebbe solo andarsene avendo fatto pace con la figlia, della quale legge e rilegge una tesina su “Moby Dick” scritta a dodici anni. Avrete quindi capito che “The Whale”, la balena, è un titolo che si riferisce sia alla condizione umana/fisica dell’obeso, sia al gran romanzo di Melville: via via il concetto si preciserà.
Girato con formato quasi quadrato in un unico spazio, cioè l’appartamento malridotto, a suggerire l’esistenza autoreclusa del personaggio, il film è tagliato addosso a cinque personaggi, rispettando la natura originaria del testo: Charlie, la figlia Ellie e l’amica Liz, più un giovane e molesto predicatore della setta “New Life” e la moglie arrabbiata.
Il respiro sibilante, la pressione alle stelle, il cuore che cede, le piaghe da decubito e la pancia fino ai piedi, pizze, merendine e schifezze varie mandate giù senza masticare: ci sono scene difficili da sostenere, ma hanno un senso, perché l’obesità è una malattia atroce, non una “devianza”, che provoca anche una sorta di auto-emarginazione, per il timore di essere giudicati. Ma Charlie sembra aver superato anche quella fase: il suo sogno è farsi finalmente leggero e spiccare il volo.
In “The Whale” forte suona la polemica acre contro certe sette religiose americane che usano “La Bibbia” come un’arma, ma sfrigolano anche i temi della redenzione, del perdono, del rancore familiare, della sincerità totale e scorticata.
Fraser, classe 1968, seppure immerso in quel trucco vistoso, quasi repellente, fa di Charlie un’anima pura, a suo modo leggera, in cerca di una redenzione stampata sui suoi occhi buoni. Offrendo ad Aronofsky, bravo nel pilotare anche gli altri quattro interpreti, l’occasione per firmare uno dei suoi film più belli, meno arzigogolati.
Michele Anselmi