L’angolo di Michele Anselmi | Scritto per Cinemonitor

Magari si poteva trovare un titolo italiano per “The Accountant”, parola pure difficile da pronunciare alla cassa di un cinema. Per chi non sapesse, significa contabile, fiscalista, ragioniere, commercialista, a seconda delle sfumature. E certo, trattandosi di quel marcantonio di Ben Affleck, “the accountant” in questione è ben diverso dal malinconico e annoiato Titta Di Girolamo che Sorrentino raccontò in “Le conseguenze dell’amore”. Anche se entrambi hanno a che fare con la criminalità organizzata, sia pure con tornaconti diversi.
Passato a mo’ di vetrina alla Festa di Roma, “The Accountant” è nelle sale, targato Warner Bros, da giovedì 27 ottobre. Si comincia con una sparatoria e non si può dire che il regista Gavin O’Connor risparmi in pallottole per tutto il film, lungo più di due ore. E tuttavia, nonostante i botti che rintronano per quanto suonano veri, il “romanzo criminale” sfodera una certa originalità, soprattutto nella descrizione del protagonista, appunto il contatabile del titolo, cioè tal Christian Wolff. Il quale, nato autistico e cresciuto dal padre militare come una macchina da guerra perché «prima o poi la diversità spaventa», è un gettonato commercialista freelance al soldo delle più potenti organizzazioni malavitose.
L’uomo, un autentico mago della matematica rigido e imperscrutabile, non ha amici, tanto meno fidanzate, infatti vive solo in una casa di periferia a trenta chilometri da Chicago, secondo rituali che gli garantiscono una relativa tranquillità emotiva. Quella economica è assicurata: infatti scopriamo presto che Chris, in caso di fuga, tiene nascosto una vecchia roulotte Pan American ricolma di armi, soldi (anche euro), passaporti e quadri di valore, tra i quali un Renoir e un Pollock.
Il cinema hollywoodiano ha romanzato ogni tipo di “beautiful minds”, e “The Accountant” non fa eccezione, anche se qui l’elemento d’azione, in chiave thriller-poliziesca, fa dell’enigmatico eroe dalla doppia vita il catalizzatore di una vicenda complicata nella quale confluiscono un fratello perso di vista da anni, una tenera impiegata brava come lui con i numeri, due agenti del Dipartimento del Tesoro, un cinico industriale nel campo delle protesi per disabili.
«Ho difficoltà a socializzare, anche se lo vorrei tanto» confessa in un momento di debolezza il contabile spaccaossa inseguito da tutti. Lui adora le incongruenze, che annusa al volo, ma la fanciulla di cui si è preso cura, per evitarle una brutta fine, magari riuscirà a scaldare un po’ il suo cuore congelato.
Ben Affleck, tornato in auge a Hollywood, si diverte a incarnare con invidiabile forma fisica questo omone in cappotto blu e capelli corti sempre in guerra con i fantasmi della propria infanzia; il resto del cast è di prima mano: Anna Kendrick, Jon Bernthal, J.K. Simmons, John Lithgow. Magari la sceneggiatura di Bill Dubuque vuol far tornare troppo i conti, in un susseguirsi di sorprese e incastri, sottotesti e ricorsi, ma “The Accountant” si vede volentieri, senza guardare mai l’orologio, e di questi tempi è già molto.

Michele Anselmi