“Alcarràs – L’ultimo raccolto” è il secondo lungometraggio della giovane regista catalana Carla Simón, in uscita nelle sale italiane dal 26 maggio. Il film, premiato con l’Orso D’Oro alla settantaduesima edizione del festival internazionale del cinema di Berlino, racconta le vicende dei Solé, una famiglia che da più generazioni lavora la terra e gode dei suoi frutti per vivere. I filari di pesche baciate dal sole della Catalogna sono però minacciati da un imprenditore che intende sostituirli con delle schiere di pannelli solari, rivendicando il diritto di sfruttamento sui terreni coltivati dai protagonisti della pellicola, dato che l’anziano capofamiglia non ha un contratto scritto per rivendicare la paternità della proprietà.
La regista, attraverso una storia di finzione che, a differenza dell’esordio di “Estate 1993”, non è strettamente autobiografica anche se ispirata alla sua infanzia, racconta di un piccolo microcosmo familiare minacciato dalla forza distruttrice della modernità. Anche attraverso la direzione di attori non protagonisti, tra i quali spiccano molti bambini, Carla Simón conferisce spontaneità alle immagini ed alle sequenze, caratterizzate da una regia sobria, ma minimale e ben calibrata, che si sposa con una fotografia coerente. Il film riesce a raccontare un tema politico delicato come quello del crollo del prezzo del raccolto attraverso l’indagine di un ristretto microcosmo corale, solo apparentemente marginale, ma eletto ad esempio privilegiato dell’asfissiante tendenza spersonalizzante del moderno capitalismo. Le secolari tradizioni, onorate dai contadini come delle preghiere laiche, sono messe in discussione dall’incertezza e dalla tendenza all’omologazione tipica della società del rischio. Le sequenze dedicate alle proteste dei braccianti si caricano della potenza tipica delle immagini documentaristiche, brillando per il loro credibile e struggente fare quasi neorealista. Non convince appieno la durata di quasi due ore della pellicola, che nelle parti finali manca di slancio e risulta eccessivamente dilatata. Un difetto compensato dalla commovente scena finale carica di malinconia e ricca di disillusione. Basta una ruspa per distruggere le speranze dei Solé ed annientare decenni di duro lavoro. Un piano sequenza che riesce a sintetizzare, attraverso un’apparentemente isolata vicenda familiare, il particolare con l’universale, denunciando i devastanti effetti di una politica agricola non adeguata a contrastare il crollo del prezzo del raccolto e a favorire il ricambio generazionale tra i contadini.
La giovane regista catalana è riuscita con successo a denunciare una delle tante distorsioni causate dall’incertezza della società contemporanea, facendo luce sulle vicende di una famiglia qualunque, proprio per questo simbolo privilegiato di una resistenza silenziosa contro l’opprimente gigante del moderno capitalismo. Davide contro Golia.

Gioele Barsotti