Detroit. Quattro cadaveri vengono ritrovati nella lussuosa villa di Fan Yau, mutilata e uccisa durante la rappresaglia. Alex Cross, detective e profiler di talento, si mette subito alla ricerca dell’assassino, ribattezzato Picasso perché ha l’hobby di ritrarre le sue vittime in bozzetti realizzati con il carboncino che ricordano il cubismo. Nelle indagini verrà affiancato dal suo amico di sempre Tommy Kane e da una nuova collega Monica Ashe. Alex Cross sarà impegnato in una corsa contro il tempo per ricostruire la personalità del serial killer prima che possa mietere altre vittime innocenti. Nel suo mirino, però, sembra esserci il proprietario di una multinazionale Giles Mercier, interpretato da un ingrassatissimo e quasi irriconoscibile Jean Reno, relegato quasi a comparsa anche se di fatto fonte principale di tutti gli eventi.
Il “detective psicologo” reso celebre da Morgan Freeman in Il collezionista e La morsa del ragno, a conclusione della trilogia scritta da James Patterson, viene oggi interpretato da Tyler Perry, scelto per via della notevole somiglianza con il carattere, ma non del tutto convincente e all’altezza del suo illustre predecessore. D’altronde anche l’attore più bravo diventerebbe poco credibile se in balia di una regia e di una sceneggiatura davvero poco verosimili: un personaggio, anche piuttosto rilevante, improvvisamente scompare dalle scene, ma allo spettatore non è dato sapere cosa ne è stato; le ritorsioni dell’assassino nei confronti del poliziotto fanno a un certo punto pensare a una vendetta come causa di tutto, niente di più errato; per concludere vi è un solo colpo di scena in un film che proprio per la sua natura dovrebbe esserne gremito. Non c’è pathos ma neanche tensione emotiva in questa pellicola firmata da Rob Cohen, già regista di La mummia e Fast & Furious, qualche scena strappalacrime, e forse anche lievemente fuori-luogo, ma niente di più. Come se non bastasse, i dialoghi sono grotteschi al punto che all’affermazione: “sono incinta”, Alex Cross risponde: “ma se tu sei incinta questo significa che avremo un figlio!”.
Con lo scorrere delle immagini, è possibile solo fare un minimo identikit dei due protagonisti, gli unici che in qualche modo vengono raccontati, rispetto a tutti gli altri che sembra quasi non esistano. Per concludere, non c’è alcuna cura del dettaglio; se si esclude l’interpretazione di Matthew Fox, tutto resta in superficie sfiorando il pressapochismo e in generale il dubbio è che la pellicola rischi di passare davanti agli occhi dello spettatore lasciandogli in fondo una strana sensazione di inutilità.
Stefania Scianni