Ancora una volta, dopo Toy Story 3, The Brave e Inside Out, qualche settimana fa è toccato ad un film Disney-Pixar inaugurare la serata d’apertura del Taormina Film Fest. Alla ricerca di Dory di Andrew Stanton ha allietato il Teatro antico, colmo di persone giunte per godere delle nuove magie offerte dai geni del gruppo americano. Per diversi motivi, le aspettative nei confronti di questo film non erano delle migliori: si tratta, infatti, del sequel di Alla ricerca di Nemo e, come si sa, la tendenza inconscia è quella di etichettare i seguiti come mero prodotto economico volto al totale sfruttamento del brand. L’esperienza di Toy Story 2 – inferiore al primo episodio, ma ampiamente rivalutato alla luce del terzo e, quindi, di un giudizio complessivo sull’intera trilogia – e di Cars 2 – unico vero passo falso del team creativo di John Lasseter – gettava un’ombra anche su Alla ricerca di Dory. Mai giudizio preventivo fu più errato di questo applicato al lungometraggio animato di Andrew Stanton, tornato all’ovile, insieme a Brad Bird, dopo le esperienze nella live action.
Dopo l’incursione nella matematica dei sentimenti, volto alla scoperta dei meccanismi logici dietro ad ogni processo creativo ed emozionale, ecco ritornare il famigerato binomio logica-sentimenti. Dory è il pesciolino che in Alla ricerca di Nemo aiuta Marlin in un viaggio di formazione alla ricerca del figlio. E ha un grande problema che ne mina la quotidianità: soffre di perdite di memoria a breve termine. Parte allora alla ricerca dei suoi genitori, in un viaggio che assume i contorni del romanzo di formazione, qual è, in effetti, l’intera produzione Pixar. Dory non conosce il proprio posto nel mondo, è animata da forti sentimenti nei confronti dei suoi amici e dei genitori ma, al contempo, la logica e le ripetute perdite di memoria intervengono, riportandola ad una sorta di eterno azzeramento.
WALL-E, Lotso, Jessie, Carl Fredricksen, Nemo e Dory sono tutti quanti dei diversi che cercano la loro vera identità, confrontandosi con un mondo esterno che potrebbe trasformarli in carne da macello, ma riescono a trovare una dimensione in cui trasformare la loro vita in un inno all’immaginazione.
Dotato di un interessante e delicato sotto-testo dedicato alla disabilità, Alla ricerca di Dory è un viaggio-formazione nei film della Pixar, nonché un manifesto programmatico su cosa sia il cinema per il team creativo di John Lasseter. Oltre ogni costruzione logica e rigorosa, si affermano sempre e comunque emozioni e sentimenti contrastanti. Non esiste la gioia senza la tristezza, come non esisterebbero le emozioni senza una seppur lineare e semplice struttura drammaturgica. Per citare il dialogo finale tra Marlin e Dory: «È meraviglioso». «Indimenticabile». In bilico tra soluzioni narrative già sperimentate nei precedenti film, Alla ricerca di Dory è un tour sentimentale dentro noi stessi, ancor più di Inside Out. Dentro ogni singolo bambino ed adulto trasformato irrimediabilmente dalla Pixar. E, ovviamente, è un gigantesco on the road all’interno del cinema, macchina creatrice di sogni che ci permette di nuotare verso nuovi sguardi e nuove avventure, senza mai dimenticare i nostri cari vecchi compagni di viaggio.
Matteo Marescalco