Fin dagli albori della civiltà, l’uomo ha sempre sentito il bisogno di conoscere le proprie radici, di cercare la propria origine. Per questo motivo la tradizione orale ha generato spontaneamente il patrimonio mitico, a partire dai racconti teogonici diffusi presso tutte le civiltà. Queste forme primordiali si sono presto evolute, conformemente al complessificarsi delle società, in poemi, romanzi, rappresentazioni teatrali e altre forme. Non fa ovviamente eccezione la nostra società che, anzi, essendo pervasa di immagini come mai prima, ha bisogno di figure mitiche sempre più convincenti per poter dare all’uomo la soddisfazione metafisica di cui necessita. Senza dubbio è proprio il cinema che, oggi, può assolvere questa funzione bardica.
Il suo compito sembra quindi essere quello proprio di un novello aedo, un (post)moderno cantore delle gesta eroiche dei moderni Achei. Le nostre Iliadi si compongono davanti agli occhi dello spettatore sulla pellicola. La cinematografia è dunque la depositaria di una funzione mitica e profondamente connessa alla natura umana proprio grazie alle sue caratteristiche intrinseche, su cui svetta senza dubbio la possibilità di essere mimetica nei confronti del reale.
Se ne può avere un’idea piuttosto chiara considerando le pellicole prodotte fino ad oggi da Lars Von Trier, intraprendente e visionario regista danese attivo sulla scena internazionale da quasi trent’anni. Profeta e ispiratore del gruppo “Dogma”, che agiva in controtendenza rispetto alla volontà anestetizzante della cosiddetta Terza Hollywood, il cineasta si è sempre mostrato perfettamente in grado di creare opere che ad ogni inquadratura emanassero una mistica epicità. La grande capacità che Lars Von Trier ha (e che gran parte del cinema contemporaneo sembra invece avere perduto) è quella di infondere in storie particolari dei valori o delle esperienze generali, che possano valere come simbolo allegorico per l’umanità tutta.
È un procedimento questo che rende il cinema di Von Trier profondamente retorico nel senso letterario del termine e lo avvicina molto ai grandi autori della tradizione letteraria. Pellicole complesse, che per essere apprezzate appieno necessitano di svariate visioni e di una buona cultura letteraria, i lavori del regista somigliano molto spesso a un’opera su carta, un vero e proprio poema epico contemporaneo. Ciò comporta, ovviamente, alcune significative differenze, inaccettabili per un autore classico: solo a titolo d’esempio si consideri la netta prevalenza di figure femminili nei film considerati. La Charlotte Gainsbourg di Antichrist o di Melancholia ricopre nei lavori di Von Trier il ruolo immensamente epico e tragico al contempo che era stato dei grandi eroi della tradizione.
Riprendendo ancora una volta un concetto letterario elaborato da Auerbach potremmo azzardare un’interpretazione secondo cui i personaggi elaborati dall’autore (come la Grace di Dogville o la Selma di Dancer in the Dark, solo per fare due esempi) sono in realtà figure di un valore, di un concetto oppure di un’idea. Se si accetta questa linea di indagine, il concetto secondo cui il cinema del regista è intensamente epico e mitico assume una consistenza che non si può non prendere in considerazione.
In definitiva, ribadendo la necessità di un approfondimento della questione da condursi sui testi filmici, sembrerebbe proprio che la sua cinematografia, in un’epoca dove il digitale appiattisce irrimediabilmente la complessità delle produzioni narrative del cinema, si presenti come una delle poche realizzazioni di un’epica veramente contemporanea. Un’epica che non si appiattisce inutilmente nella stanca ripetizione dell’antico, ma lo innova dall’interno, contaminandolo con le suggestioni elaborate da secoli di cultura.
Il cinema di Lars Von Trier dunque si presenta ai nostri occhi come figurale, sincretico e animato da un istinto che è al tempo stesso primordiale ma profondamente postmoderno.
Giuseppe Previtali