L’angolo di Michele Anselmi

Già passato in anteprima mondiale alla Mostra di Venezia 2020, tra gli applausi estatici di molti critici, arriva nei cinema giovedì 13 maggio, targato Warner Bros, il mediometraggio di mezz’ora che Pedro Almodóvar ha girato velocemente dopo il lockdown l’anno scorso, costruendolo interamente sulla presenza carismatica di Tilda Swinton, pure Leone d’oro alla carriera 2020. Si chiama “La voce umana”, come il celebre monologo scritto da Jean Cocteau nel 1928 e indossato al cinema o in tv da attrici come Anna Magnani, Ingrid Bergman, Sophia Loren (perfino Ornella Muti nella variazione maselliana “Codice privato”).
Il gran cineasta spagnolo, classe 1949, rilegge e aggiorna alla sua maniera, ambientando il tutto in un appartamento “alla Almodóvar” visibilmente piazzato dentro un teatro di posa. La finzione nella finzione, perché sia chiaro il gioco estetico, direi pure estetizzante. Sotto lo sguardo triste di un cane, in uno sfarfallio di rossi, arancioni e azzurri, un’attrice inglese magra e pallida, non più sulla cresta dell’onda, ingurgita pillole, delira, si lava e si trucca, usa un’accetta appena comprata dal ferramenta, parla nervosamente al telefono in attesa che l’ex amante venga a riprendersi le valigie pronte da tre giorni. Ma c’è davvero qualcuno in ascolto?
Trattasi, parola del regista, di “lezione morale sul desiderio”, e certo la musica da mélo hollywoodiano di Alberto Iglesias e la fotografia smaltata di José Luis Alcaine rendono tutto molto elegante, raffinato, ammirevole, pure un po’ inconsistente. Vediamo il cd di “Kill Bill”, libri di Truman Capote e Alice Munro. La cosa migliore sono i titoli di testa e di coda: con i nomi costruiti usando i più fantasiosi oggetti e utensili da ferramenta. Magari è una metafora. Ma alla fine, al di là del raffinato esercizio di stile, non ti importa granché delle pene d’amore di questa donna molto arrabbiata.

Michele Anselmi