L’80ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia si è conclusa pochi giorni fa, Yorgos Lanthimos ha conquistato il premio più ambito: il Leone d’oro. Il cineasta greco è da qualche anno un regista internazionale, ma già nel 2011 otteneva, al suo esordio alla kermesse della Serenissima, il Premio Osella per la migliore sceneggiatura con ‘’Álpeis – Alps’’.
Il lungometraggio ruota attorno alle vicende del gruppo ‘Alps’’, nome che richiama la catena montuosa più importante d’Europa, dato che: «Nessun’altra montagna può sostituire una montagna delle Alpi […]. Esse possono sostituire tutte le altre». Difatti, la squadra si occupa di rimpiazzare, sotto compenso, persone appena defunte.
La pellicola si apre con una ginnasta che danza sulle note del brano ‘’O Fortuna’’ di Carl Orff, seguita da un severo allenatore che le preclude la possibilità di lavorare a qualcosa di più pop.
Nelle sequenze successive vengono presentati gli altri due componenti della squadra: un paramedico e un’infermiera.
«Piatto preferito?», «Attore preferito?», sono alcune delle domande che vengono poste ai parenti dei defunti per cercare di comprendere la personalità del morto.
Da circa metà del film in poi, le vicende non si concentrano più sugli Alps, ma seguono la vita dell’infermiera, l’ottima Angeliki Papoulia (con Lanthimos anche in ‘’Kynodontas – Dogtooth’’ e ‘’The Lobster’’).
L’infermiera-nessuno-centomila perderà se stessa nella sua odissea personale tra riti da replicare e atteggiamenti da mimare senza partecipazione. L’opera prosegue tra umorismo nero, gesti meccanici, angoscia e una fotografia simmetrica, elegante e fredda che sembra catturare una giornata nuvolosa. In una Atene collocata al di fuori dello spazio-tempo, i temi in ballo sono quelli dell’identità, del lavoro, del lutto e della morte; probabilmente, in conseguenza delle tematiche più spinose in campo, la pellicola non risulta essere penetrante come negli altri lavori di Lanthimos. Ma mantiene il piacere per lo sbigottimento, una narrazione disturbante (in pieno stile del regista greco) dove vita privata, attoriale e lavorativa si miscelano in un cocktail di alienazione che stordisce tanto da far perdere la distinzione tra realtà e finzione.
Giuseppe Annecchino