<<Qui non arriva la musica>>. Questo verso, tratto da “Due vite” di Marco Mengoni, è perfetto anche per raccontare “Amusia”, un film delicato e dolcissimo. Opera prima diretta da Marescotti Ruspoli con Carlotta Gamba e Fanny Ardant.
La splendida ballata, vincitrice del Festival di Sanremo, che l’artista viterbese ha eseguito, proprio nella città dei Beatles, in modo sublime e struggente, in occasione dell’ultima edizione di Eurovision Song Contest inginocchiandosi al termine della sua performance “sporca” visibilmente commosso – e facendo commuovere molti spettatori – , potrebbe essere anche l’ideale colonna sonora della storia d’amore tra Livia e Lucio. Due giovani. Due anime. Due vite, appunto.
La loro è una storia di amicizia e di amore iniziata in modo casuale in un albergo di periferia frequentato da prostitute, camionisti e frustrati, come nel film lo descrive Lucio, che lì lavora come receptionist. E la loro storia è intervallata da flashback che rievocano l’infanzia e l’adolescenza di Livia, cresciuta in una famiglia di musicisti con il disturbo neurologico, alquanto paradossale per lei, chiamato “Amusia”, termine coniato nel 1890, che non le consente di ascoltare la musica provocandole una codifica errata delle note. Pur essendo cresciuta quindi con un papà pianista che ha cercato di guarirla facendole ascoltare Charlie Parker e i Beatles, per lei la musica classica, jazz o blues sono la stessa cosa perché quello che riesce ad ascoltare sono rumori.
Livia sente così soltanto i frastuoni delle posate o degli scatti fotografici, che accompagnano e scandiscono le sue notti bianche con Lucio. Rumoroso – ma non per questo meno romantico – è anche il primo bacio, ritmato da dissolvenze nere e brevi come i battiti di una batteria. È cresciuta senza poter percepire la voce di Freddie Mercury di “Bohemian Rapsody”: con la sua amusia.
A lei “non arriva la musica”, ma l’amore, quello protettivo, sì. Al cinema grazie a 102 Distribution.
Alessandra Alfonsi