A rendere originale il documentario “Ananda”, esordio alla regia di Stefano Deffenu, prodotto da Bonifacio Angius per Monello Film, è la voce fuori campo che accompagna lo spettatore alla scoperta dei villaggi in India. Con quel tipico distacco, totale disinteresse e freddezza che contraddistinguono la cadenza sarda, “Ananda” si presenta come una variante “stramba” di molti documentari ambientati in India, ma accompagnati da voci più delicate e piacevoli: per nulla equiparabile a quella delicata di Pier Paolo Pasolini, di cui lo scorso 5 marzo si è celebrato il centenario della nascita, in “Appunti per un viaggio sull’India”, mediometraggio tra la sacralità e la magia dei villaggi indiani, presentato nel 1968 alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica.

E se non fosse proprio per queste caratteristiche della voce, a tratti anche irritante e poco piacevole, “Ananda” sarebbe un classico documentario sull’India, come molti già realizzati, alla scoperta dei luoghi più reconditi e puri di una terra, rimasta ancestrale e tribale, con le tradizionali immagini folkloristiche della sua gente ritratte in primi e primissimi piani, in modo appunto pasoliniano: dei venditori di banane, dei suonatori di flauto, delle immagini sacre a Shiva, delle vacche, delle strane e piccole auto e delle donne che indossano abiti di colori variopinti e che camminano sorreggendo le fascine di legna o i loro pargoli sulle povere e sporche strade dei villaggi indiani.

Ma per il regista il documentario è soprattutto altro dalla tradizionale visione e scoperta dell’India e rappresenta la sua ricerca personale di pace: di elaborazione di un lutto e di una catarsi in seguito alla tragedia della scomparsa del fratello gemello, appassionato di viaggi e, in particolare, dell’India, misteriosamente fuggito di casa, e la cui anima l’autore rivede proprio nei visi dei bambini della rivoluzionaria e ribelle tribù degli Ananda.

«Nel film», come ha dichiarato lo stesso regista, «Ananda non è lo stato di sublime delizia dell’induismo, ma una tribù di bambini eternamente gioiosi che hanno deciso di vivere liberamente. Il tema del film è il ritorno a un’infanzia perduta, che però allo stesso tempo è sempre dentro di noi, fa parte della nostra vita e anche della nostra anima».

“Ananda” è un racconto ciclico, girato in modo amatoriale durante un viaggio realizzato in India nel 2011, le cui immagini furono rubate e poi restituite al suo autore: si divide in dieci capitoli, con un prologo e un epilogo, ognuno dei quali dedicato ad un villaggio o ad una leggenda di questa terra come Babilonia e Malana, dove gli abitanti venerano i cavalli al posto degli elefanti. Dal 23 marzo al cinema.

Alessandra Alfonsi