Duale e dicotomico l’esordio alla regia dell’attore corso Thierry de Peretti, in uscita nelle sale italiane il 14 agosto,  dopo la presentazione alla Quinzaine di Cannes 2013 e al Giffoni Film Festival, dove l’opera è stata mostrata ad un pubblico adolescenziale. Un racconto sempre in tensione, che si allenta e si distende solo dopo la scena madre. Tratto da un fatto di cronaca nera, accaduto nella cittadina balneare di Porto Vecchio, il film gioca proprio sul doppio binario della visibilità e dell’invisibilità per rievocare ed esorcizzare in modo catartico – vedi gli sguardi rivolti in camera nel finale – un dramma collettivo: un omicidio né di gruppo né di branco, ma di apaches, i “cattivi ragazzi” che senza pietà si accaniscono su un loro coetaneo.

Il risultato è la rappresentazione visiva di un territorio e di un’umanità corsi inusuali, desertici, negativi e spogli soprattutto di valori morali, quali si rivelano François – Jo, Hamza, Jo. Spietati e quasi epici, come fossero antenati dell’eroe acheo Achille, nell’uccidere l’amico Aziz, nell’abbondare il suo corpo in un terreno, per l’appunto arido, e nel dare, dopo alcuni giorni, una degna sepoltura ad un amico ritrovato, ma circondato da sole mosche. Un film lento e veloce dove l’occhio del regista indugia proprio nel mostrare l’invisibilità dei valori morali, che poi è il messaggio di denuncia di una parte della popolazione corsa nei confronti dei bianchi francesi, rei di aver sopraffatto e relegato in una riserva gli apaches corsi “buoni”, secondo la visione di Thierry de Peretti.

Alessandra Alfonsi