L’angolo di Michele Anselmi
Parere altamente personale: “Estate 85” di François Ozon sembra un film di Luca Guadagnino venuto meglio. Cioè senza troppe strizzatine d’occhio, insistenze calligrafiche, allusioni politiche, leziosità estetizzanti. Il pensiero corre naturalmente a “Chiamami col tuo nome”, 2017, che pure è tra i migliori del cineasta siciliano. Anche lì, retrocedendo all’estate del 1983, si parlava di un giovanile amore omosessuale sbocciato all’improvviso e mantenuto sul filo di un delicato equilibrio psico-fisico, tra affondi e rimpianti.
Il francese Ozon, classe 1966, a due anni dal notevole “Grazie a Dio”, un’indagine serrata e cupissima sulla pedofilia praticata dai preti di Lione, torna con un film che pesca un po’ nella propria adolescenza, nel senso di colori, musiche, sensazioni, abiti, acconciature, pulsioni. Lo fa trasportando nella Normandia del 1985, per la precisione a Le Tréport, un romanzo inglese di Aidan Chambers pubblicato in Italia dalla Bur Rizzoli con lo stesso titolo: “Danza sulla mia tomba”. Quel libro ha rappresentato per Ozon, gay dichiarato, una specie di ossessione, e alla fine è riuscito a trarne un film, passato lo scorso ottobre alla Festa di Roma dopo esser stato selezionato per il festival di Cannes poi cancellato causa pandemia. Lo si può vedere in sala da giovedì 3 giugno distribuito da Academy 2.
“Solo un folle sceglie la morte come passatempo” sentiamo scandire dal sedicenne Alexis nell’incipit. Il giovan
otto è scortato da un poliziotto che lo sta portando da un’assistente sociale per un confronto. Ha commesso qualcosa di grave, lui stesso parla di un cadavere, c’è il rischio di una carcerazione, ma qualcosa non torna. Strada facendo sapremo perché.

All’inizio doveva essere il 1984, se non fosse che “In Between” dei Cure risale all’anno successivo e così, pur di avere quella canzone a suo avviso fortemente simbolica, Ozon ha spostato in avanti la vicenda; la quale viene ricostruita come un lungo flash-back, benché ogni tanto spezzato dagli eventi successivi e dalla voce narrante di Alexis.
Di famiglia proletaria, figlio di un portuale, ancora irrisolto sul piano dell’identità sessuale, il sedicenne viene soccorso in mare da un diciottenne ricco e sfrontato, David, che lo prende subito sotto la sua ala protettrice, presentandolo pure alla madre commerciante di articoli e abiti per il mare. I Gorman, figlio e mamma, sono avvolgenti, amabili, affettuosi, danno pure un lavoretto al ragazzo, sulle prime spaesato, poi conquistato da quella famiglia così diversa dalla sua. David e Alexis finiscono quasi subito a letto insieme, dentro un rapporto disinibito, pure esibito, che sembrerebbe fare bene a entrambi. Ma a quell’età quanto può durare una cotta estiva? Le cose si complicano, la gelosia
guasta l’idillio, un incidente stradale fa il resto.

Il titolo del romanzo, appunto “Danza sulla mia tomba”, evoca e anticipa la scena cruciale del film, costruita su una canzone di Rod Stewart all’epoca molto in voga: “Sailing”. Quella che potrebbe suonare come una profanazione, specie in un cimitero ebraico, si trasforma in realtà in un disperato atto d’amore, in una promessa mantenuta, e mi fermo qui.
Girato in super16 mm, a luce naturale, ricostruendo con una certa cura l’aria del tempo, senza esagerare col corredo musicale, “Estate 85” si muove drammaturgicamente su un doppio piano: da un lato l’amore spontaneo, sessualmente libero e appagante, che si sviluppa tra i due adolescenti, con David, il seduttore capriccioso, a guidare il gioco; dall’altro, il mutismo di Alexis, forse un po’ alter-ego del regista, l’adolescente confuso, devastato dal senso di colpa, che troverà il modo di spiegare gli eventi al giudice solo mettendosi a scrivere una sorta di diario.
Spira una certa freschezza in “Estate 85”, un po’ da “romanzo di formazione”, insomma da età inquieta, ma non saprei dire a chi possa interessare, oggi in Italia, un film del genere: vedremo i risultati al box-office.
Di sicuro Ozon si diverte a citare una sequenza-clou dell’epocale “Il tempo delle mele”, 1980, riproducendo in una chiave teneramente omo la situazione in discoteca. Ricordate? Sophie Marceau si isola dal fracasso quando l’amato Alexandre Sterling le piazza a sorpresa sulle orecchie le cuffie del walkman per farle ascoltare la romantica “Reality”.
Félix Lefebvre e Benjamin Voisin, ovvero Alexis e David, sono ben assortiti, anche nel caratterizzare fisicamente le differenze di classe tra i due personaggi e insieme la caducità della passione, la differenza dei ruoli amorosi; mentre Valeria Bruni Tedeschi, specie nell’edizione in francese coi sottotitoli, restituisce col solito piglio l’eccentrica mamma ebrea pronta a tutto affinché il figlio birichino sia felice.
Michele Anselmi