L’angolo di Michele Anselmi | Scritto per Cinemonitor
Ha impiegato molto a uscire, ma se non altro arriva in Italia al momento giusto: è di questi giorni, infatti, la notizia che droni americani partiranno dalla base siciliana di Sigonella per compiere azioni militari “mirate” in Libia. Il governo italiano ha dato il via libera. Trattasi di “Good Kill”, il film americano Andrew Niccol che passò in concorso a Venezia addirittura nel 2104. I droni sono quei piccoli e silenziosi aerei comandati a distanza che gli Stati Uniti usano con sempre maggiore frequenza dopo l’11 settembre. Tecnologia perfetta, risultati micidiali, piloti risparmiati; se non fosse che la guerra al terrorismo, piuttosto asimmetrica, non mette al riparo da massacri inutili, specie di civili inermi.
Il film, medio e onesto, è interessante più per cosa racconta che per come lo racconta. E tuttavia a Venezia volarono fischi, a ricordarci quanto sia forte il pregiudizio ideologico nei confronti degli Stati Uniti, anche sotto la guida del democratico Obama. «Good Kill» significa bel colpo, centro perfetto. L’esclamazione risuona nei lindi box di una base aerea in Nevada ogni volta che un drone, a 11 mila km di distanza, colpisce talebani e quaedisti dopo averli sorvegliati per ore dall’alto. Il maggiore Thomas Egan era un pilota di F-16, una specie di “top gun”, ma ora – siamo nel 2010 – spara missili da quella consolle, così simile a una play-station: solo che non saltano pixel ma corpi umani. «Oggi ho polverizzato sei talebani in Afghanistan e ora vado a casa a farmi un barbecue» ironizza dopo un turno. Ma l’uomo comincia a vacillare, provato da quella vita schizofrenica: fa la guerra per otto ore e poi rientra a casa come se nulla fosse. Quanto si può reggere?
Ethan Hawke è onesto nel restituire il dilemma morale del guerriero dell’aria che affoga nell’alcol la frustrazione di chi non può più volare, combattere sul serio. «So come ti senti, è come passare da una Ferrari alla Ford Fiesta» gli dice il capo, scettico pure lui. Il peggio arriva quando il team passa agli ordini della Cia e il gioco, già poco “chirurgico”, si fa ancora più sporco, insostenibile, perché ci vanno di mezzo donne e bambini. Da “Homeland” a “24” l’argomento non è nuovo, specie per la tv, ma “Good Kill” adotta una prospettiva inedita, per dirci cosa passa nella testa di questa nuova generazione di piloti. «Un racconto prudente» lo definisce il regista, neozelandese. Prudente ma non asettico. Infatti il Pentagono s’è rifiutato di fornire mezzi e attrezzature dopo aver letto il copione, che sfodera pure una battuta al vetriolo nei confronti del Nobel al presidente Obama. Il minimo no?
Michele Anselmi