L’angolo di Michele Anselmi | Scritto per Cinemonitor

Il franco-canadese Denis Villeneuve, classe 1967, è un regista che sa quel che vuole. Bravo, duttile e dotato di personalità, ha girato nove film, cinque dei quali negli Stati Uniti, incluso l’atteso seguito di “Blade Runner” prodotto da Ridley Scott che uscirà in questo 2017. “Arrival”, in concorso all’ultima Mostra di Venezia, prende spunto dal racconto lungo “Story of Your Life” di Ted Chiang, e avrete capito che, a partire dal titolo, proietta lo spettatore nella fantascienza ramo alieni, ma più “Incontri ravvicinati del terzo tipo” che “Independence Day”. Il regista, ormai stabilmente a Hollywood dopo “Sicario”, spiega che lo spunto viene dall’assioma degli antropologi Edward Sapir e Benjamin Lee Whorf, in base alla quale lo sviluppo cognitivo di ogni essere umano è influenzato dalla lingua che parla. In altre parole, dice il regista, «la lingua può cambiare la nostra percezione della realtà».
Vero o falso che sia, “Arrival” ipotizza lo sbarco sulla Terra di dodici misteriose e gigantesche astronavi extraterrestri a forma di uovo scuro tagliato a metà in verticale, ciascuna delle quali alta 450 metri. Perché sono arrivati e da dove? Vengono in segno di pace o per distruggerci? Che cosa vogliono davvero? Nello stallo che si crea, mentre la tensione internazionale cresce e la Cina vorrebbe bombardare le strane “creature” a guisa di enormi polipi eptapodi, gli americani ingaggiano la linguista Louise Banks e il matematico Ian Donnelly, ovvero Amy Adams e Jeremy Renner, affinché riescano a stabilire un contatto “verbale” con gli alieni prima di ricorrere alle armi.
Una parola, i due non sanno da dove cominciare. Ma alla fine, naturalmente, ci riusciranno, nel modo più imprevedibile, poetico, empirico. Dimenticare le note musicali della mitica sequenza spielberghiana, qui il thriller fantascientifico si colora di denso grigio, di presagi funesti e di palindromi rivelatori, in un crescendo avventuroso segnato da un grave lutto patito dalla giovane donna incarnata col solito piglio da Amy Adams, doppiata così così da Ilaria Latini. Il film bluffa un po’ (occhio a incipit ed epilogo, c’è una sorpresa) ma non bara, e comunque inchioda allo schermo per 116 minuti, mischiando le regole canoniche del genere, perfezionate dagli effetti speciali, con una certa profondità “filosofica” fornita dal copione di Eric Heisserer. Costato meno di 50 milioni di dollari, in patria ne ha incassati quasi 100. Nelle sale italiane da giovedì 19 gennaio.

Michele Anselmi