“Awake”, nuovo film del genere sci-fi sbarca su Netflix, ma non riesce a conquistare gli spettatori. Scritto e diretto da Mark Raso, è stato rilasciato il 9 giugno sulla piattaforma e, in generale, ha ricevuto un responso negativo dalla critica. Questo è probabilmente dovuto al fatto che a una storia anche accattivante, non si è riusciti ad adattare un prodotto che sia altrettanto coinvolgente. Alcune falle nella trama e la difficoltà intrinseca che il genere porta con sé, uno sci-fi distopico e post-apocalittico, hanno reso questa pellicola una trasposizione poco credibile e non del tutto funzionale alla narrazione degli eventi che si vogliono raccontare.

Il tempo è quello attuale. L’intero mondo – si suppone, perché noi lo guardiamo con gli occhi di una famiglia americana – si ritrova a vivere un incubo. O meglio, un incubo a occhi aperti, visto che l’umanità, dopo una specie di tempesta elettromagnetica, non riesce più a dormire. Questo, col passare delle ore, comporterà una serie di conseguenze; si parte dalla follia collettiva che scaturisce dalla privazione del sonno, fino ad arrivare alla morte che sopraggiunge presto, se non si trova un modo per ripristinare l’ordine. Da qui ha il via una corsa contro il tempo e contro la follia. Il trio – mamma e due figli – è in direzione di un luogo non meglio precisato (forse una base militare). È lì che l’ex medico dell’esercito Jill vuole arrivare per mettere i suoi figli al sicuro dalla gente impazzita. Ed è lì che è sicura di poter trovare una soluzione a questa specie di virus della veglia.

Il focus è incentrato sulla famiglia non solo perché Jill è la protagonista-amazzone per eccellenza – mamma tosta ed ex-militare a sangue freddo. La figlia minore, Matilda, sembrerebbe l’unica in grado di dormire. La gente, che sta impazzendo, vuole quindi rapire la piccola per i più disparati tentativi di salvezza. Il pastore pazzo della chiesa locale la vuole sacrificare insieme al resto della comunità (a sole 24 h di privazione del sonno). Gli scienziati dell’esercito vogliono utilizzarla come cavia per chissà quali esperimenti. Da qui l’espediente narrativo del viaggio-fuga dei tre. Il terzo personaggio non è che il figlio maggiore, Noah, adolescente svogliato e arrabbiato con la vita che non ha un vero e proprio ruolo nella storia.

“Awake”, in realtà, non sembra raggiungere mai quel pathos necessario all’immedesimazione nei personaggi, le cui performance interpretative non convincono appieno. La difficoltà si trova forse nel genere scelto, che vuole raccontare dramma e sofferenza fisica estrema. In realtà, il film finisce per risultare un minestrone di stereotipi sulla dimensione post apocalittica: la madre buona, gli scienziati cattivi, la chiesa bigotta. Anche la narrazione degli eventi risulta confusa, difficile da seguire, rimanendo per lo più in una dimensione superficiale. È automatico aspettarci che accada qualcosa di “grosso”, quel catalyst che dia un senso al tutto, quel qualcosa che non accadrà.

Chiara Fedeli