È un racconto delicato, onirico, indipendente e politico Bella e perduta, il nuovo film di Pietro Marcello, presentato nel Concorso Internazionale del Festival del film di Locarno ed evento di preapertura del prossimo Torino Film Festival, dove il giovane regista campano aveva già nel 2009 mostrato il suo primo lungometraggio La bocca del lupo, vincitore del Festival e di altri numerosi premi, come il Fipresci e il Teddy Bear della Berlinale.

In sala dal 19 novembre, distribuito in quindici copie da Istituto Luce Cinecittà e prodotto da Rai Cinema e Avventurosa in collaborazione con la Fondazione Cineteca di Bologna e il MiBACT, Bella e perduta è un’opera ibrida che, oscillando tra il sogno e la realtà, appartiene a due generi cinematografici: il documentario e la fiaba. L’ideazione del film prende spunto dalla morte di Tommaso, un pastore custode della Reggia di Carditello, dove è ambientata la vicenda e che offre al regista il pretesto per denunciare lo stato di abbandono e di degrado – vedi le scene dei molti tombaroli che facilmente hanno accesso ai luoghi della cultura – in cui versano alcuni monumenti e ambienti campani. La Reggia di Carditello, realizzata da Carlo di Borbone nel Settecento per creare una “fattoria modello”, in grado di attrarre le menti più prestigiose dell’Europa e di diventare un importante centro di zootecnica, fu poi nei secoli successivi lasciata nel più totale stato di abbandono e soltanto nel 2014 con l’allora ministro per i Beni e le Attività Culturali e il Turismo, Massimo Bray, lo Stato Italiano riuscì ad acquistarla.

La Reggia di Carditello è per il regista il simbolo di un’Italia “bella sì, ma perduta“, come lui stesso l’ha definita: “l’emblema della bellezza perduta e della lotta del singolo“. Di un’Italia incompiuta, paragonata, alla maniera di Giacomo Leopardi, “ad una donna che piange con la testa tra le mani per il peso della sua storia, per il male atavico di essere troppo bella“. E, non a caso, la fotografia scelta rimanda ai colori dei quadri bucolici delle correnti della seconda metà dell’Ottocento, in particolare del Divisionismo, che negli anni successivi all’Unità d’Italia, dopo aver raggiunto quel sogno mostrato e celato in molte opere romantiche, privilegiavano raffigurare il mondo bucolico e ancestrale.

Bella e perduta, però, è anche una fiaba, pregna di storie leggendarie e, soprattutto, incentrata sulla figura di Pulcinella, che nel racconto non è solo la maschera tradizionale campana e quella tipica della Commedia dell’Arte, ma un intermediario tra i vivi e i morti, come nella tradizione etrusca da cui nasce. E nel racconto di Pietro Marcello diventa l’aiutante, cui spetta il salvataggio -funzione tipica della fiaba – del bufalo campano Sarchiapone, l’eroe cui Elio Germano presta la sua voce. Considerato, in quanto maschio, inutile nella filiera produttiva, è mostrato con primi e primissimi piani e “riscattato” dal regista perché, come la Reggia di Carditello, rappresenta anch’esso un emblema: di una civiltà, serva e umile che diventa paladina, della “rabbia dei giusti che insorgono senza intellettualismi contro il malaffare e la speculazione.

Alessandra Alfonsi