L’angolo di Michele Anselmi | Scritto per “il Secolo XIX”
Bisogna riconoscerlo: Jean-Paul Belmondo e Jerzy Skolimowski sono due splendidi Leoni d’oro alla carriera. La notizia è di ieri. Il mitico attore francese, classe 1933, e l’eclettico regista polacco, classe 1938, saranno festeggiati alla Mostra di Venezia, la cui 73ª edizione si svolge dal 31 agosto al 10 settembre. La scelta, condivisa dal cda della Biennale, sancisce una novità: d’ora in poi i premi alla carriera saranno sempre due, in modo da omaggiare ogni volta un interprete di spicco e un cineasta di qualità. Anche il mix conta. Insieme all’età dei festeggiati. William Friedkin nel 2013, Thelma Schoonmaker e Frederick Wiseman nel 2014, Bertrand Tavernier nel 2015; adesso, appunto, Belmondo e Skolimoswki, cioè il divo pop lanciato dalla Nouvelle Vague e il regista spiazzante venuto dall’Est.
La parola al direttore Alberto Barbera. Belmondo: «Un volto affascinante, una simpatia irresistibile, una straordinaria versatilità, che hanno fatto di lui una star universalmente apprezzata, sia dagli autori impegnati che dal cinema di semplice intrattenimento». Skolimowski: «Insieme a Polanski uno tra gli autori più rappresentativi di quel cinema moderno nato in seno alle nouvelles vague degli anni Sessanta».
Vero è che il regista polacco non ha mai smesso di fare film, in patria e fuori. L’anno scorso, proprio a Venezia, sbalordì tutti col suo adrenalinico “11 minuti”, girato con la freschezza di un giovanotto, per tecnica, velocità, grinta. «Ci muoviamo su un terreno minato, camminiamo sull’orlo dell’abisso, dietro ogni angolo è in agguato l’imprevisto, l’inimmaginabile» sibilò con gli occhi nascosti dagli occhiali da sole. Senza mirare alla Grande Metafora ma memore del romanzo “Il ponte di San Luis Rey” di Thornton Wilder, si divertì a intrecciare destini, pulsioni e fatalità dei suoi personaggi nell’arco di undici minuti: tra le 17 e le 17.11 di un pomeriggio di luglio a Varsavia, descrivendo una Polonia proiettata nella modernità nevrotica e gasata, sessualmente audace, “spiata” da centinaia di telecamere. Ben venga, fosse pure una sorta di risarcimento, questo Leone alla carriera.
Quanto a Belmondo, la Palma d’oro alla carriera ricevuta a Cannes nel 2011 non oscura di certo quest’ulteriore riconoscimento. Messo a dura prova da vari acciacchi, un infarto nel 1998, soprattutto l’emiparesi facciale del 2001 in seguito a un’ischemia, “Bébel” ha saputo ogni volta rimettersi in piedi. Sopportando perfino una tormentata storia d’amore con Barbara Gandolfi, ex coniglietta di “Playboy”, una tutta curve e interessi immobiliari, che gli avrebbe soffiato circa 600 mila euro prima d’essere mollata dal rinsavito attore.
Lo sguardo mobile disciplinato al sorriso, i capelli fluenti, il fisico asciutto e muscoloso, per anni Belmondo ha incarnato l’avventuriero francese burlone e generoso, sorretto da una popolarità senza cedimenti. Poi l’età e i malanni l’hanno consegnato a un lento declino cinematografico, culminato nel mesto remake di “Umberto D.” nel 2008, ovvero “Un homme et son chien”. E tuttavia, diciamolo, ha dimostrato di saper invecchiare meglio dell’amico/rivale Alain Delon.
Michele Anselmi