Pubblicato su Il Fatto Quotidiano del 28 giugno

Segnalo alcuni fatti inquietanti che hanno a che vedere con l’universo dell’informazione. Il da poco ministro ai Beni culturali Dario Franceschini ha varato una serie di normative che sembrano dare ossigeno al martoriato comparto della cultura nazionale, a partire dai sempre rimandati restauri di Pompei, che se non ci fosse la tv inglese non sapremmo neppure che continuano a crollare. Si spera che il ministro deliberi anche qualche provvedimento per salvare le biblioteche italiane, che versano in uno stato comatoso simile alle rovine pompeiane. E’ impressionante apprendere dalle grida dei nostri bibliotecari le condizioni del dissesto. Mentre altrove sono occasione di socializzazione dove fa piacere leggere libri, vedere film e aggiornarsi, da noi sono diventate un luogo ostile, gelide d’inverno e insopportabili per il caldo d’estate. Soffriamo la regola che nessun politico italiano si è mai preoccupato di lasciare qualcosa di significativo ai posteri. In Francia, tanto per fare un paragone, appartiene alla storia la volontà di Francois Mitterand, che ha regalato al suo paese una delle più belle biblioteche del mondo. Pochi anni fa era ministro ai Beni culturali il neoinquisito Giancarlo Galan e prima di lui il poeta postmoderno Sandro Bondi. E’ rimasta anche solo una briciola del loro operato? In materia di beni culturali l’Italia resta all’anno zero, ma il vero allarme viene da chi lavora a nostra insaputa per renderci oggetto di spregiudicate operazioni.

Vogliamo parlare dell’attività sempre più diffusa dei cosiddetti Big Data? Una volta a dettare legge al mondo c’erano le Sette sorelle, contro le quali si è schiantato il nostro Enrico Mattei, fondatore dell’ENI. Oggi ci sono i Big Data, giganteschi flussi di dati che non inquinano come il petrolio, ma infrangono la nostra privacy. Hai un cellulare in tasca? Sei collegato a Internet? Ascolti la radio mentre in auto è attivo il bluetooth? Vedi la televisione, vai al cinema? Sappi che in ogni momento c’è chi ti segue e registra. Per farne che? Ad esempio per venderti al migliore offerente, in genere grandi agenzie di pubblicità, pronte a rivenderti ai clienti interessati a sapere se sei il genere di persona che può comprare i loro prodotti. Di recente il Corriere della sera è stato colto con le mani nella marmellata, quando “a sua insaputa” ha gonfiato i dati delle visite al nuovo sito, ricorrendo a una tecnica di manipolazione, il cosiddetto “site under “, che non consentendo di sapere da quale fonte arrivano i contatti li può moltiplicare all’infinito. Alla statistica e alla sociologia si è sovrapposta la “netnografia”, l’etnografia della rete, come spiega in un saggio in via di pubblicazione Vera d’Antonio, ricercatrice alla Sapienza. Qualche esempio? Stando a sempre più complessi calcoli algoritmici, le case editrici più agguerrite già oggi pianificano a tavolino i blockbuster lasciando ai margini i secondi. Come? Analizzando i dati seminati in rete da noi utenti. C’è voluto il giovane Snowden, l’informatico americano che ha sbugiardato i servizi segreti di mezzo mondo, per sapere che chiunque navighi sul web, usi una carta di credito, attivi una telefonata… rischia di essere classificato. Il grande fratello odierno è in grado di conoscere come ci informiamo, valutare come ci alimentiamo e come ci svaghiamo. Sa di noi più di noi stessi, persino come ci comportiamo a letto, se per caso hai lasciato il cellulare sul comodino. Orwell docet, ma si credeva fosse fantascienza. Ci vuole poco per aggregare questo mostruoso fiume di dati individuali, al fine di sondare gli umori del pubblico. Indagando nei comportamenti e nella psicologia dei fruitori, i Big Data sono in grado di capire quali avvenimenti e quali personaggi prediligiamo, quali caratteri ci appassionano di più, a quali tipi di emozioni reagiamo. In America le major di cinema e soprattutto le reti come HBO e Netflix cominciano a pianificare film e fiction ricorrendo a questi flussi, certi di colpire nel profondo dell’animo umano. Il marketing contemporaneo si sta perfezionando grazie a nuove tecniche di manipolazione non proprio incoraggianti.

Oltre ai Big Data come i motori di ricerca tipo Google, a informare chi di dovere delle nostre abitudini più intime ci pensano i social network, una vera e propria miniera di flussi personalizzati da fare invidia agli archivi della CIA. Che infatti insieme alla NSA tiene sotto controllo, nonostante le smentite, i vari Facebook, Twitter e similari. Sappi che quando qualcosa ti viene offerta gratis c’è qualcuno che manovra o lucra alle tue spalle, senza che neppure te ne accorga. Ci sono apparati digitali più precisi dei DNA, che possono apprendere tutto di noi in ogni istante della nostra quotidianità: cosa facciamo, chi conosciamo e frequentiamo, cosa guardiamo e leggiamo, con chi amoreggiamo, a chi mentiamo. Le centrali internazionali degli apparati segreti hanno un bel negare di attingere ai social network per scattare radiografie individuali e di massa. C’è chi non gli ha mai creduto e infatti si guarda bene sia dal twittare incautamente che dal facebookare.

Roberto Faenza