Un diciannovenne come tanti vive in una piccola città del Nord Italia, una realtà che gli sta stretta. Lo affligge un dilemma che è quello di tanti suoi coetanei: cosa faccio della mia vita? “Billy”, titolo che riprende semplicemente il suo nome, ci racconta la sua storia, che è poi quella di un coming of age, quel delicato passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Opera prima di Emilia Mazzacurati, classe 1995, il film è stato presentato il 14 maggio al “Bellaria Film Festival”, ed uscirà nelle sale il 1° giugno. Il protagonista, interpretato da Matteo Oscar Giuggioli, è un ex bambino prodigio, poiché quando aveva 9 anni conduceva un podcast musicale di successo. Ormai passata l’adolescenza, non sa cosa fare del suo futuro, ed è in un momento di stasi. Passa così le sue giornate a giocare con i bambini del quartiere o a risolvere i problemi che sua madre Regina (Carla Signoris), frivola e poco responsabile, causa costantemente. Soffre la mancanza di una figura paterna, ed è innamorato di Lena (Benedetta Gris), una ragazza che sembra proprio non notarlo. Vorrebbe andare via dal luogo in cui abita, con la speranza che altrove potrà capire cosa fare da grande. Un giorno incontra Zippo (Alessandro Gassmann), ex star del rock che è da poco tornato in città. Dell’uomo si erano perse le tracce per tanto tempo, da quando era improvvisamente scappato lontano, abbandonando la sua carriera e la sua famiglia. Billy e Zippo sono speculari: l’uno è alla ricerca di un padre, e sogna di andare via; l’altro cerca qualcuno da amare come un figlio e, pentito della sua fuga, ha capito il valore di restare. Tra i due si stabilisce un legame che spinge Billy ad agire, a riprendere il controllo della sua vita. La regista segue le vicende dei suoi protagonisti talvolta in modo elegante, altre volte con inquadrature più sgraziate, probabilmente dettate dalla sua non molta esperienza. Esteticamente la pellicola richiama un’atmosfera vintage, seguendo un po’ la corrente della “nostalgia anni ‘80” tipica di alcune produzioni odierne, la serie Netflix “Stranger Things” su tutte. Via libera quindi alle luci al neon, che illuminano le scene di fucsia e di blu, alle pellicce e ai maglioni geometrici, ai televisori a tubo catodico ed ai telefoni a cornetta. Siamo però nel presente, dunque questo richiamo è puramente estetico, vuoto di significato: lo spettatore ci rimane male quando Billy e Lena tirano fuori i loro smartphone per parlarsi. Nonostante le buone premesse, anche la sceneggiatura lascia un po’ delusi. Essendo il film un coming of age ci si aspetterebbe un buon livello di riflessione interiore dei personaggi, ma questo non avviene. I protagonisti compiono piuttosto scelte superficiali, talvolta insensate, e questo si riflette anche nel finale, non una degna conclusione della storia presentata. Il rapporto tra Billy e Zippo, un legame padre-figlio sui generis, poteva essere l’aspetto più interessante della storia, ma non viene valorizzato come merita. Il film parte dunque con buone intenzioni, ma sembra soffrire della poca esperienza di chi l’ha realizzato, risultando nonostante tutto esteticamente piacevole, ma non abbastanza ricco dal punto di vista dei contenuti.
Martina Genovese