Remake di un film del padre Francis? All’apparenza e considerando solo l’ossatura del soggetto sembrerebbe di sì: una versione aggiornata e contemporanea dei Ragazzi della 56° strada, raccontata sempre in prima persona e con una accurata scelta fotografica. Ma Bling Ring di Sofia Coppola, presentato nella sezione Un certain regard del Festival di Cannes e da oggi nelle nostre sale, è altro. Non c’è mafia, non c’è povertà, non c’è bullismo maschile, non c’è violenza, non ci sono greasers e socials, non emergono alla fine i sentimenti morali genuini e gli insegnamenti veri della strada. C’è solo il bisogno di alcune ragazze di buona famiglia cresciute a Los Angeles, e non in quartieri malfamati,  appassionate  di moda e di glamour, di raggiungere la celebrità.

E se vale per loro l’aforisma di Andy Warhol – il famoso “In futuro ciascuno avrà quindici minuti di celebrità” – per Nicki, Sam, Chloe e Rebecca questa celebrità è rappresentata solo da Vanity Fair. Svaligiare gli appartamenti delle dive hollywoodiane, rubare le scarpe colorate di Paris Hilton, introdursi nelle stanze private di Orlando Bloom, Lindsay Lohan e Rachel Bilson, è un mezzo per farsi intervistare dalle giornaliste della nota rivista femminile. Ispirandosi ad un episodio di cronaca realmente accaduto, Sofia Coppola si riconferma con questa pellicola una regista minimalista: come in un reportage filma e mostra gli episodi dei fattacci, dei crimini commessi nei veri appartamenti delle dive dalla banda ribattezzata dai media Bling Ring senza scavare però nella psicologia dei giovani personaggi, che rimangono in superficie, come sono realmente.

Alessandra Alfonsi