Il 20 gennaio arriva in sala Botero – Una ricerca senza fine – distribuito da Feltrinelli Real Cinema e Wanted Cinema e diretto da Don Millar -, il documentario dedicato all’artista colombiano Fernando Botero, nato a Medellin nel 1932 e oggi ancora attivo ottantasettenne. Attraverso il dialogo dell’artista con i suoi tre figli, l’opinione di storici e curatori d’arte, il film offre un ritratto fedele della vita professionale dell’artista.
Le opere di Botero hanno una riconoscibilità indiscutibile: probabilmente la curiosità dello spettatore sarà interamente focalizzata sul perché abbiano queste forme abbondanti che di fatto sono motivo della sua fortuna artistica. La forma determina lo stile, dice lo stesso Botero in uno dei suoi interventi, e le forme dilatate, comunemente definite “grasse”, rappresentano il tratto distintivo dell’artista. “Non dipingo donne grasse” ci tiene a specificare; non da poco la fortuna di poter assistere alle dichiarazioni di un artista in vita che spiega la sua opera, è questo indubbiamente uno dei principali motivi per cui andare a vedere il film di Don Millar.
Botero dipinge e scolpisce volumi per aumentare la sensualità delle sue opere. E il desiderio di “dilatare le opere” è collegato a una visione ancestrale, come nella Venere di Willendorf, perché la pienezza delle forme è abbondanza, bellezza, piacere.
Nel film c’è anche il racconto del momento esatto in cui il tratto distintivo di Botero prese vita. Nel 1956, a 24 anni, Fernando Botero era impegnato nello studio di una natura morta e disegnò un mandolino con un foro di risonanza decisamente più piccolo rispetto allo strumento. Il mandolino dunque appariva come dilatato e Botero rimase colpito dall’effetto del volume, iniziando ad applicare lo stesso stile a donne, uomini, animali e altri oggetti.
I filmati e i dialoghi inediti presenti in Botero – Una ricerca senza fine avvicinano lo spettatore al senso più profondo dell’opera dell’artista e anche alla sua personale filosofia di vita. L’artista e i suoi figli raccontano del legame con il Rinascimento italiano, dell’ispirazione tratta da Piero della Francesca, della sua instancabile produzione, del desiderio di seguire le proprie opere in giro per il mondo (nel 1992 è stato il primo artista ad esporre delle sculture sugli Champs-Élysées e nel 2015 ha esposto in Cina).
Botero ha indubbiamente avuto una vita intensa, iniziata con soli 20 dollari quando dalla Colombia si trasferì a New York; ad oggi, dopo decenni, le sue opere trovano un notevole riscontro da parte del pubblico, mentre gli addetti ai lavori e i critici d’arte restano scettici. Ma Botero crede nell’arte e crede inoltre che l’arte possa essere un mezzo per nuove possibilità, soprattutto in città complesse: forse è questo il motivo che lo ha spinto a donare parte della sua collezione alla città di Bogotà, ad un museo che porta il suo nome, e altra parte al Museo de Antioquia.
Il regista canadese Don Millar dirige un documentario a tutto tondo, proprio come l’opera di cui racconta, confezionando un lavoro che non annoia mai e coinvolge lo spettatore in una narrazione fluida e visivamente stimolante, dove dialoghi e immagini sono in perfetto equilibrio, nell’armonia dell’arte.
Chiara Pascali