Bruno Mattei (1931-2007) è stato l’ultimo artigiano del cinema italiano. Girava film a qualunque costo, nonostante la crisi del genere e i conseguenti mutamenti del mercato. È stato esempio di un cinema resistenziale e certamente trash, di sicuro unico per la passione e la caparbietà con cui è riuscito a superare il giro di boa del 2000. Bruno Mattei – L’ultimo artigiano, edito da Il Foglio Letterario, è dedicato alla figura di questo cineasta assolutamente al di fuori di qualsiasi definizione precostituita. Ne abbiamo parlato con Gordiano Lupi, autore del volume scritto insieme ad Ivo Gazzarrini.
Bruno Mattei – L’ultimo artigiano focalizza l’attenzione su un cineasta che non ha voluto accettare la fine della gloriosa stagione del cinema di genere, continuando a muoversi in quei territori. Parliamo di questo suo aspetto resistenziale…
G.L. Mattei è l’ultimo artigiano, lo è stato fino alla fine, girando film di zombi scritti dall’amico Antonio Tentori, addirittura prison movie e women in prison, ambientati nelle Filippoine (tra l’altro niente male come cinema di genere). È stato uno coerente, fedele sino alla fine ad una personale idea di cinema che non doveva avere alcuna complicazione intellettuale o di messaggio. Genere per il genere. Mattei mi ricorda i comunisti duri e puri, quelli che – qualunque cosa accada – alzano il pugno e cantano Bandiera Rossa. È una battuta, ma rende bene l’idea. A me stanno simpatici, eh? Non è dispregiativo.
Qual era la formazione di Mattei? In che modo questa l’ha supportato in una carriera dove il budget risicato e i tempi di lavorazione stretti erano all’ordine del giorno?
G.L. Mattei era un tecnico, proveniva dal montaggio, prima sceneggiatore, quindi regista, affina una tecnica discreta che gli permette di risparmiare sui costi di produzione e sui tempi, di fare cinema di pura imitazione e di genere in pochi giorni, cavalcando ogni moda, fossero tonaca movie o erotici puri, ma anche western crudi e violenti e nazi-erotici.
Dal vostro saggio emerge la figura di un uomo colto, dalla personalità affascinante e dai molti interessi…
G.L. Mattei era interessato a fare cinema. A lui non importava che fosse considerato cinema di serie B. Il mondo del cinema, invece, non l’ha mai riconosciuto né amato. solo per questo meritava un libro che lo ricordasse in eterno. La Garzantina Cinema non ne cita neppure l’esistenza. Vergogna.
Appuntamento a Trieste poteva essere l’ingresso di Mattei nella produzione di serie A, cosa non ha funzionato con questo sceneggiato?
G.L. In realtà si è trattato di un buon film televisivo, una delle rare volte in cui Mattei si è trovato a lavorare con un budget adeguato. Si tratta di uno sceneggiato ispirato al romanzo di Scerbanenco. Mattei è costretto a correre pure per la televisione, forse lo chiamano esattamente per questo motivo. Il progetto iniziale prevedeva 16 settimane di lavorazione, ma le tempistiche non vennero rispettate. Dunque, il nostro si trova davanti a un prendere o lasciare. Non può lasciare, ha necessità di lavorare. Una sua dichiarazione al riguardo: “Alla Rai sono dei pazzi: comprano i diritti ma non leggono i libri… Il film era tutta un’altra cosa rispetto al romanzo di Scerbanenco. Ma ormai avevo ereditato il pacchetto pronto e l’ho dovuto girare come l’avevano scritto”.
I sottogeneri frequentati da Mattei coprono l’intero scibile del cinema bis, dov’è che ha dato il meglio?
G.L. Nel western. Ha girato due titolo che sono davvero interessanti. Ma anche alcuni horror non sono male, se accettiamo il trash come nota caratteristica del suo stile.
La rimozione sistematica dei suoi film è un aspetto insopportabile dello snobismo della critica italiana. Come ti spieghi questo atteggiamento?
G.L. Normale. La critica cinematografica italiana rimuove persino Pupi Avati. Vuoi che non rimuova Mattei?