L’angolo di Michele Anselmi

“Non buttatela in politica” era il titolo, un po’ ipocrita o solo intimidito, usato dal “il Venerdì” per presentare l’intervistona a Nanni Moretti redatta da Michele Serra in una chiave di quieta chiacchierata tra vecchi amici. Oggi, sulla prima pagina di “la Repubblica”, Corrado Augias, che peraltro appare in una scena nel ruolo di sé stesso, spiega invece che “Il sol dell’avvenire” è un “film politico”. Certo che tale è, alla maniera di Moretti, quindi destinato a fare notizia, a scaldare i cuori, comunque la si pensi sulle opinioni politiche del regista che fu a capo dei “girotondi”.
Non meraviglia che Facebook e i social in generale siano stati inondati da commenti, pensieri, recensioni, perlopiù complimenti e testimonianze d’affetto. Attorno a “Il sol dell’avvenire” s’è costituito, per legittima simpatia nei confronti dell’autore e regista oggi 69enne, un coro di assensi e ditirambi, per la serie: “capolavoro assoluto”. In effetti, per dirla con un’antica battuta, Moretti non lavora… capolavora; anche se i film riescono maluccio, come “Tre piani” (secondo me), difficile trovare pareri davvero critici, ho come la sensazione – ripeto: sensazione – che ci si arrampichi sempre un po’ sugli specchi per assolverlo o difenderlo, a meno che la stroncatura non venga da antipatie politiche e sfottò personali. Capita anche quello.
Oggi, giustamente in centinaia di copie, credo 500, “Il sol dell’avvenire” esce nelle sale italiane, targato Rai Cinema, Sacher e Fandango. Sarà un successo di botteghino, sicuramente, almeno rispetto alle cifre deludenti, salvo rare eccezioni, alle quali purtroppo il cinema italiano s’è dovuto abituare dopo la micidiale pandemia. Il nuovo film di Moretti fa discutere, anche sorridere, ripropone più o meno il personaggio scorbutico e “tirannico” che ci piace vedere sul grande schermo, sia pure in una chiave di senile meditazione sull’esistenza, l’amore, il fisico che cambia, l’amicizia, gli algoritmi di Netflix, il magistero di Fellini, il cinema per le sale, certo la politica e la storia contraddittoria del Pci.
Mi pare di essere tra i pochi, tra i cinescribi della vecchia generazione, che non abbia parlato di un capo d’opera, facendo notare i difetti e le pigrizie, anche le scaltrezze, di un film comunque importante, non fosse altro perché tutti ne parliamo con vivo interesse, sentendolo un po’ “nostro” (Moretti fa di questi effetti, ed è un pregio). In fondo a queste righe trovate, se interessa, quanto ho scritto due giorni fa, a tamburo battente, e in buona misura confermo il giudizio.
Ciò ribadito, spero davvero che “Il sol dell’avvenire” vada bene al botteghino, perché Moretti resta un regista di vaglia, innovativo, a suo modo carismatico, capace ogni volta, anche quando percorre sentieri sicuri o “pop”, di interrogare la coscienza di chi, più o meno, sente di doversi collocare politicamente a sinistra, soprattutto adesso, con questo governaccio di destra al potere.

Michele Anselmi