Un uomo è nel proprio appartamento, sta cercando di rilassarsi, ma c’è qualcosa che proprio non gli va giù: si sente un abbaiare di cani in lontananza. Corre fuori dalla porta di casa e si trova davanti un cagnolino mansueto. Senza farsi troppe domande, se la prende con lui, e per il povero animale le cose non finiscono bene. È questa l’immagine con cui si apre “Cane che abbaia non morde”, esordio alla regia del sudcoreano Bong Joon-Ho, premio Oscar per “Parasite”. Il suo primo film, uscito in Corea del Sud nel 2000, sarà finalmente disponibile nelle sale italiane a partire dal 27 aprile. L’uomo con cui inizia il film è il protagonista Yoon-Ju (Lee Sung-Jae), assistente universitario, a cui la vita non va per il verso giusto. Sul piano lavorativo, sogna una cattedra da professore associato, ma capisce ben presto che l’unico modo per ottenerla è la corruzione. Peccato che questa strada non sia percorribile, perché non ha un soldo in banca. La sua vita famigliare non va meglio, infatti viene trattato come uno zerbino dalla moglie, incinta del loro primo figlio. In preda alla frustrazione, trova un capro espiatorio nei cani del condominio, con la scusa di essere infastidito dal loro abbaiare. E, senza troppi scrupoli, li tortura ed uccide. Alla sua storia si incrocia quella di Hyun-Nam (Bae Doo-Na), una giovane un po’ svampita che lavora come segretaria amministrativa. La ragazza viene a sapere delle sparizioni dei cani e, annoiata dalla sua quotidianità, decide di improvvisarsi detective per risolvere il caso. Fin qui il film sembra una tragedia, ma ben presto il tono della narrazione si alleggerisce grazie alla piega surreale che prendono gli avvenimenti. C’è ad esempio uno strano custode del palazzo che trova i cadaveri dei poveri cani e, invece che rimanerne inorridito, li prende con sé e li cucina per cena. L’effetto dissacrante è amplificato dalla scelta delle musiche, allegri motivi jazz che accompagnano le scene più drammatiche. Il film si trasforma così in una commedia nera dove gli elementi tragici e comici sono dosati perfettamente. Il tema di fondo, molto caro a Bong, è la critica alla società classista coreana. Una società in cui è difficile per la gente comune aumentare di status in modo onesto, ma solo ricorrendo a sotterfugi e ad azioni illegali. Un mondo al quale non importa nulla degli ultimi, infatti, per questo caso non c’è autorità che si mobilita. E nel quale c’è sempre qualcuno più in basso nella scala sociale con cui prendersela, a cui dare la colpa per qualcosa che non ha fatto. Del resto, Yoon-Ju si sfoga proprio contro i cani più deboli, quelli più piccoli che non mordono mai, ma (al massimo) abbaiano e basta. La storia è narrata con la regia elegante tipica di Bong, che qui si prende qualche libertà poco scolastica: ci sono anche inquadrature fuori bolla e tremolanti, oppure una fotografia a volte sovraesposta. Ne risulta un film intelligente, in cui per la prima volta il regista ci dà la propria personale visione di come vede il mondo, senza rinunciare a far ridere lo spettatore.

Martina Genovese