“Filosofo è colui che cerca di perdere la sua identità partendo da un principio rivoluzionario che non esiste l’identità perché non c’è l’uomo, l’uomo deve diventare uomo attraverso un cammino” così parlò il socratico Carlo Sini nel film “Carlo Sini – La parte maledetta. Ai confini del mondo” diretto da Clemente Tafuri e David Beronio.

Presentato a Venice Production Bridge nell’ambito della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, è l’unico film ad essere stato presentato integralmente all’interno della sezione e, in particolare, del Premio Cinema&Arts, perché simbolo dell’espressione “meta-artistica del linguaggio: dell’incontro delle arti”, come sapere condiviso.

“Carlo Sini” è un mediometraggio, che si propone come una dissertazione cinematografica sui temi del periodo antropologico, in cui è convenzionalmente suddivisa la filosofia greca, dell’arte, e, in particolare, del teatro, inquadrata in una cornice bucolica, con un chiaro riferimento al tema dell’ambiente, molto caro al filosofo, e accompagnata dalle musiche suonate al pianoforte dallo stesso Sini.

Ordinario di Filosofia Teoretica alla Statale di Milano, Carlo Sini nella pellicola si presenta come un socratico o meglio come un discepolo di Socrate del XXI secolo nella difesa della ricerca, della sapienza e dell’oralità quando afferma che “la filosofia è un’arte profonda che non si può scrivere e che non si può ridurre alla rappresentazione grafica…nel contestare l’idea pierciana di foglio-mondo si rifiuta la scrittura del foglio-mondo: (ergo) dell’alfabeto. La scrittura induce alla logica del ragionamento, come il sillogismo, ed è sempre un pericolo”.

Se, quindi, la filosofia e l’insegnamento sono performance: “il teatro è un’azione e una rappresentazione, una conoscenza del senso della vita dove l’attore è un transito che attraversa il suo corpo e il rapporto tra attore e spettatore caratterizzato da complicità”. Così parlò Sini.

Alessandra Alfonsi