L’atteso ritorno di Sam Raimi dietro la macchina da presa è finalmente arrivato. Lontano dal cinema da quasi nove anni, Il regista americano è ricordato soprattutto per aver realizzato la prima trilogia dell’Uomo ragno, una delle saghe più amate dai fan dei cinefumetti. Il nuovo film dedicato a Doctor Strange si pone in continuità con l’esplorazione dell’espediente narrativo del multiverso già sperimentato, con un successo commerciale senza precedenti, in “Spiderman: No Way Home” e, ancora prima, in “Spiderman: un nuovo Universo”. A differenza dell’ultimo film dedicato all’icona Sony, purtroppo sprovvisto di una solida sceneggiatura e rimpiazzata da una serie di cameo che rasentano quasi la fan fiction, il lungometraggio di Raimi è sorretto da una sapiente regia e da uno script che, seppur non privo di pecche, consente allo spettatore di immergersi nella narrazione. La trama del film è semplice: Wanda Maximoff, impersonata dalla talentuosa Elizabeth Olsen, cerca di rubare il potere di viaggiare tra universi ad America Chavez, supereroina che fa il suo primo ingresso nell’MCU e pupilla di Doctor Strange.
Il lungometraggio brilla per le trovate visuali del regista americano. Lunghi piani sequenza digitali che ricordano il massimalismo visivo di “Ready Player One” di Spielberg oppure “Inception” di Christopher Nolan, ma anche l’uso di immagini in sovraimpressione e un montaggio che fa dialogare, anche a livello della messa in scena, gli svariati multiversi. Raimi, inoltre, sceglie di tingere il film di venature horror e splatter, una vera e propria novità per l’universo Marvel. Nonostante siano sempre presenti numerosi dialoghi sopra le righe, il cineasta sposta il tono generale del film verso tinte più cupe, oscure ed allucinate. L’immaginario del film riprende quello dei trip psichedelici, brillando per alcune sequenze al cardiopalma sorrette da effetti speciali ed un comparto tecnico di prim’ordine. Nel film non mancano sequenze memorabili, rese tali grazie alla maestria con cui Raimi gestisce la messa in scena: impossibile non citare lo scontro a colpi di musica tra Strange ed i suo doppelganger malvagio oppure il duello gore tra Scarlet Witch e gli Illuminati. Il regista è riuscito con successo a cooptare in un blockbuster alcuni stilemi di genere tipici dell’horror: riuscitissima la sezione in cui lo stregone rianima telepaticamente il suo alter ego non morto da un’altra dimensione. In tal senso il cineasta non ha tradito la propria poetica personale, anzi, è riuscito a metterla a servizio della pellicola, non snaturandone l’impalcatura classica da cinecomic, ma impreziosendola di interessantissimi guizzi e trovate visive. Il lungometraggio, in sostanza, si pone in linea con i recenti cinecomic qualitativamente più elevati di casa DC Comics come “Joker” di Todd Philips oppure il riuscito “The Batman” di Matt Reeves. In definitiva, il film è qualcosa in più della divertentissima montagna russa a cui a Marvel ha abituato i suoi spettatori, e, al netto di un finale che non è altro che un teaser per una prossima pellicola, domina e si staglia indiscussa la cifra stilistica del talentuoso Sam Raimi.
Gioele Barsotti