L’angolo di Michele Anselmi per Cinemonitor

Dubito che ci sarà la fila ai botteghini per vedere un film bulgaro, e tuttavia bene ha fatto la combattiva casa distributrice “I Wonder Pictures” a lanciare nelle sale italiane “Glory – Non c’è tempo per gli onesti” (da oggi, giovedì 21 settembre). Perché il film di Kristina Grozeva e Petar Valchanov offre un ritratto curioso, anche agro e pessimista, di quel Paese ex-comunista, dove nemmeno i corrispondenti del quotidiano “l’Unità” un tempo volevano andare per quanto era triste, in preda a una sorta di rampantismo post-comunista, da turbo capitalismo un po’ cialtrone e corrotto.
Il titolo allude a una nota marca russa d’orologi, la Slava, che significa appunto “Gloria”, ma per alcuni versi appare tragicamente glorioso anche il percorso umano del protagonista. Il cinquantenne Tsanko Petrov è una specie di sopravvissuto di un’altra epoca: barbuto, solitario, balbuziente e sporco, fa l’operaio delle ferrovie. Pagato poco e manco sempre, non parla con nessuno, non frequenta nessuno, vive in campagna, i suoi conigli sono l’unico motivo di conforto. Ogni mattina, con la sua chiave inglese da sei chili, stringe i bulloni lenti sui binari, facendo finta di non vedere, per quieto vivere e anche per rassegnazione, i colleghi che rubano la nafta dalle motrici. La sua vita è scandita da un vecchio orologio Slava che gli regalò il padre, tanti anni prima.
Però l’uomo è onesto: un giorno trova sui binari un bustone di plastica ricolmo di soldi, milioni di lev bulgari (ogni lev vale all’incirca mezzo euro), e avverte subito la polizia, senza prender nulla o quasi. Sarà l’inizio di un incubo per il poveraccio. Stretto tra il ministro dei Trasporti che vuole premiarlo come cittadino esemplare, in modo da distogliere l’attenzione da pesanti accuse di corruzione, e un abile giornalista televisivo intenzionato a usarlo come testimone di ruberie statali e traffici illeciti.
Sulla rivista “Vivilcinema” la collega Barbara Corsi ha definito l’uomo “un Candide ignorante e goffo, simbolo di un mondo contadino che sta scomparendo, fuori tempo rispetto ai ritmi di oggi”. È così, tanto più nel rapporto con l’altra protagonista della storia, Julia Stalkova, un’aggressiva pierre che cura la comunicazione dei ministro: survoltata, costantemente al cellulare, sempre in tacchi alti e abiti attillati, benché alle prese con una fecondazione artificiale quasi subìta dal marito premuroso.
D’accordo, il film sarà un po’ schematico, forse didascalico, a tratti prevedibile, ma non nel finale davvero inatteso. E però si segue con una certa angoscia l’incubo burocratico, molto da Socialismo Reale riveduto e corretto, nel quale sprofonda progressivamente il vessatissimo Tsanko. Lui vorrebbe riavere solo il suo vecchio orologio, perso dalla pierre durante una cerimonia, ma tutto congiura contro…
Fotografia a luce naturale, musica al minimo e solo diegetica, uno sguardo impietoso su corpi, ambienti, simboli del potere. “Glory” non induce all’ottimismo, come certi recenti film rumeni, e sembra dirci che il mondo post-sovietico, per quanto spappolato, convive con una modernità intrisa di fetide logiche. Stefan Denolyubov e Margita Gosheva sono i due “avversari”: la balbuzie del primo fa tenerezza e diventa allegoria; l’anaffettività della seconda fa spavento e comunque la difende.

Michele Anselmi