“Non fidarti mai di nessuno e non scordarti da che parte stai”. Dice la guardia carceraria al giovane collega. Juan Oliver, ansioso di far bella figura, si è presentato al nuovo lavoro, in un carcere di massima sicurezza, con un giorno d’anticipo. Mentre visita il braccio che rinchiude i detenuti più pericolosi, un frammento di intonaco cade dal soffitto e lo colpisce alla testa. Nel tentativo di rianimarlo, le altre guardie lo stendono temporaneamente sulla brandina di una cella vuota: la cella 211. Ma improvvisamente si scatena l`inferno. Malamadre, leader indiscusso dei carcerati ha assunto il controllo del braccio e ha scatenato una furiosa rivolta. I secondini fuggono abbandonando l’ignaro Juan... Una storia sull`inesorabilità del destino. Sull`amicizia tra due uomini Juan e Malamadre, due esistenze agli antipodi colpite dallo stesso fulmine e scaraventate in aria. Stare da una parte o dall’altra delle sbarre è solo frutto del caso, nessuna scelta morale. Il giovane Juan compirà un viaggio di sola andata nell`abisso. Vincitore di 8 Premi Goya tra i quali miglior film (la regia è di Daniel Monzón) e migliori attori (Luis Tosar, Alberto Ammann e Marta Etura, straordinari).
Nero, disperato, crudo. Oltreoceano gli hanno preferito “Il Profeta”, film quasi gemello francese. Troppo politico, forse, i riferimenti al terrorismo basco per gli americani sono incomprensibili, meno autoriale e più televisivo. A noi è piaciuto. Tiene incollati fino all`ultima scena. Di genere, certo, ma ha il pregio di mostrare uno squarcio realistico sulla situazione carceraria. Sull`angoscia dei detenuti che vedono solo sbarre e cemento di fronte a loro. Picchiati a sangue, mal curati, senza futuro.
Francesca Bani