L’angolo di Michele Anselmi
Cercate un bel film poliziesco, torvo nel clima e rugginoso nelle tinte? Su Netflix c’è lo spagnolo “Infiesto”, che non avrei mai guardato se non avessi scorto qualcosa di interessante nello “strillo” video. L’ha scritto e diretto il regista iberico Patxi Amézcua, 55 anni, con esperienze varie nel genere. In genere diffido delle storie ambientate durante la pandemia, ma debbo riconoscere che il Covid diventa qui un elemento portante della storia, in modo non peregrino, facendo da sfondo, insieme concreto e allusivo.
“Questo è solo l’inizio” è la frase-tormentone che torna nel film, e c’è poco da stare tranquilli, specie perché capiremo presto che cosa si nasconde dietro una serie di rapimenti: dalle parti di Mieres, zona mineraria delle Asturie ormai ridotta in miseria.
Mentre il governo spagnolo impone il lockdown, siamo nell’aprile 2020, due poliziotti che agiscono in coppia, la tosta Marta Castro e il barbuto Samuel García, sono chiamati a indagare su un’adolescente miracolosamente scampata alla morte dopo essere stata sequestrata per tre mesi. La fanciulla, viva ma sottoshock e con uno strano marchio circolare inciso a fuoco sulla schiena, non parla; e intanto i due, poco avvezzi a usare la mascherina, devono fare i conti con guai personali: il fidanzato di lei è in quarantena ma sta peggiorando; la mamma di lui è contagiata in un pensionato.
Ricolmo di citazioni cinematografiche, ma non è necessario riconoscerle tutte, “Infiesto”, dal nome di una località immaginaria, ha un andamento classico, da poliziesco americano, ma ben piantato nella realtà spagnola. Le indagini serrate portano verso una setta di pazzi/lucidi fissati con certi riti celtici, e forse è la parte più scontata del film, peraltro bombardato da musiche inutili per tutto il tempo. Ma i due sbirri, incarnati da Iria del Río e Isak Férriz, sono ben assortiti, e sembrano portarsi dietro un clima da fine del mondo mentre schivano il malefico virus, scansano le pallottole e si leccano le ferite.
Michele Anselmi