L’angolo di Michele Anselmi

Non si vede nessun cratere, e tanto meno si allude a quello del Vesuvio, nel film “Il cratere” di Silvia Luzi e Luca Bellino, da giovedì 12 aprile nelle sale con La Sarraz. Insomma, il titolo è metaforico, il cratere evocherebbe, leggo sulle note di regia, “la terra di vinti, spazio indistinto, rumore costante”. Il film è di piglio indipendente, girato in economia, con attori non professionisti, in una chiave di presa diretta sulla realtà, anche se l’ibridazione tra documentario sociale e cinema di finzione via via si stempera in uno stile ricercato, piuttosto insistente, un po’ fine a se stesso. Cinema “nuchista”, nel senso della nuca: i due registi stanno infatti molto addosso ai personaggi, spesso ripresi di spalle o in primissimo piano, mentre camminano o si muovono per casa, a cogliere porzioni di viso, sguardi, smorfie, un po’ come succedeva qualche anno fa nei film dei fratelli Dardenne.
Sharon e Rosario Caroccia sono figlia e padre nella realtà. Solo che qui, aderendo alle richieste degli autori, “giocano la sfida di reinventare la propria vita”. Siamo in una Campania non meglio definita, dove la tredicenne Sharon, carina di volto, già molto signorina e dotata di gran voce, fatica ad assecondare i sogni del padre che gestisce una bancarella da fiere e luna park. Lui, detto “il maestro”, intravvede per la figlia prediletta un gran futuro da cantante neomelodica, ha investito mille euro per comprare la canzone giusta, arrangiarla, registrarla in uno studio professionale, e in effetti Sharon sa muoversi sul palco con la grinta e le mosse giuste nonostante la giovane età. Ma appare subito chiaro che il canto, per lei, è solo un passatempo, un modo di esprimersi, di mettersi in mostra, non un lavoro; mentre il genitore, sempre più scostante e sospettoso, vorrebbe una dedizione totale, assoluta, in vista di un passaggio sui talent show. Il padre-padrone, tra una fiera a San Benedetto e qualche animaletto di peluche da rimettere a nuovo, si fa risucchiare in una spirale quasi psicotica, comunque nevrotica, al punto da piazzare telecamerine nascoste in ogni punto della casa. Vuole controllare tutto, sapere tutto. Sharon, a un certo punto, si ribellerà.
Sfodera un inizio davvero bello “Il cratere”, con Sharon che ripete davanti allo specchio della sua cameretta una lezione scolastica sul “Verismo” di Verga, anche in francese, allo stesso tempo provando le mosse maliziose del suo spettacolo dal vivo. Il riferimento al “Verismo” non è casuale, tanto più alla luce della prospettiva cara ai due autori del film: e cioè raccontare la realtà così com’è, “senza applicare giudizio”, insieme ricreandola in una chiave di fantasia, sia pure fortemente ancorata al contesto sociale, culturale e s’intende antropologico.
“Il cratere” si muove nel solco, senza per questo copiare, di film come “A Ciambra” di Jonas Carpignano o “La pivellina” di Tizza Covi e Rainer Frimmel. Ma forse lo spettatore meno specializzato coglierà una certa assonanza con quanto succedeva nel più diffuso “Indivisibili”, benché Edoardo De Angelis poi facesse virare la vicenda verso un melodramma proletario dalle tinte sgradevoli e grottesche.
Non che “Il cratere”, che fu lanciato dalla Settimana della critica a Venezia 2017, sia brutto. Sulla coerenza estetica non ci piove, anche quando le cose si fanno un po’ faticose da seguire. I due Caroccia, figlia e padre, pescano dentro se stessi, forse pure improvvisando un po’, qualcosa dei loro personaggi, e di sicuro Sharon, che a tratti somiglia a una giovane Natalie Portman, indossa gli abiti, i capelli, la voce dell’altra Sharon con precisa convinzione professionale e senso dello spettacolo. Poi, certo, spira un’aria di tragedia crescente, forse ineluttabile, nella storia di questa famiglia di “bancarellari” esposta alle lusinghe del successo, della notorietà, in cerca di un possibile riscatto sociale.

Michele Anselmi