“Che L’argentino” è il primo dei due film diretti da Steven Soderbergh (anche direttore della fotografia) sulla figura del comandante Ernesto “Che” Guevara, interpretato da un Benicio Del Toro intenso e giustamente premiato come miglior attore all’ultimo Festival di Cannes. La prima parte di questo film è tratta dal libro del Che “Sulla Sierra con Fidel – Cronache della rivoluzione cubana” e racconta l’avanzata del suo esercito verso la conquista di Cuba e la liberazione dal regime di Fulgencio Batista. Nonostante si tratti di una campagna vittoriosa, il film non è per niente trionfalistico, Benicio Del Toro è spesso ripreso di spalle, spesso affaticato e sofferente per l’asma, raramente gli viene concesso un primo piano.
Il film non viene raccontato in ordine cronologico: alle immagini della giungla e dell’ultima importante battaglia a Santa Clara (dove Soderbergh ci regala le immagini più belle, tra cui quella del treno costato 500.000 dollari), vengono contrapposti gli eventi del 1964, quando Che Guevara si trova a New York per tenere un discorso all’assemblea generale dell’ONU, dove venne attaccato dai rappresentanti degli altri paesi dell’America Latina di occuparsi di fatti che non lo riguardavano (non bisogna dimenticarsi che Guevara era argentino e non ebbe a cuore solo la liberazione di Cuba, ma anche quella del Congo o della Bolivia). Il film spazia quindi dagli eventi precedenti, come la cena in Messico durante la quale Guevara conobbe Fidel Castro, fino ad eventi successivi, lasciando però al secondo film, “Che – Guerriglia”, nelle sale italiane dal primo maggio, gli eventi che raccontano la disastrosa campagna boliviana.
Un film meritevole, non solo perchè è ben fatto, ma perchè quello che preme maggiormente al regista, non è tanto raccontare la rivoluzione cubana, quanto raccontare i valori in cui credeva Che Guevara: tanto spazio viene dato a frasi del tipo “una rivoluzione non si può fare con uomini che non sanno nè leggere nè scrivere”.
Soderbergh continua a stupire quando mette da parte i vari “Ocean’s eleven” per dedicarsi a film più indipendenti e di più ampio respiro, come questo, girato in digitale in 39 giorni. Una lezione di buon cinema.