L’angolo di Michele Anselmi | Scritto per Cinemonitor
“Il film che ha fatto infuriare Marine Le Pen” hanno titolato un po’ tutti i giornali italiani i loro articoli di anticipazione su “Chez nous”, che da noi esce il 27 aprile col sottotitolo “A casa nostra”. Il film di Lucas Belvaux è interessante, ben recitato, costruito con cura, a tratti fazioso come certe denunce “a tesi”, e di sicuro si può capire perché la leader del Front National l’abbia parecchio detestato, il che ha fatto in buona misura la sua fortuna commerciale (almeno in patria). Ma rischia di fare la stessa fine di certi film che, qui da noi, si produssero contro Berlusconi, dal corale “L’unico Paese al mondo” a “Il Caimano” di Nanni Moretti, solo per citarne due. Molti applausi, tanto sdegno, nessun voto spostato, anzi (magari Paolo Sorrentino riuscirà a fare qualcosa di diverso, ora che il Cav non governa più).
Il titolo si spiega da solo: “On est chez nous” gridano nel film i militanti di un partito che sembra la fotocopia, anche nel simbolo, del francese Front National. Insomma un po’ l’equivalente di quel “Padroni a casa nostra” che piace tanto al leghista Matteo Salvini. Siamo nel cosiddetto profondo nord della Francia, in un ex distretto minerario impoverito dalla crisi economica, spaventato dalla piccola criminalità, deluso dai vecchi partiti tradizionali. Pauline è una giovane infermiera a domicilio, separata dal marito, con due figli e un padre comunista malato e bisbetico, che si fa ben volere da tutti nella cittadina. I suoi amici sono perlopiù di sinistra, lei crede nella solidarietà sociale, ma la politica non la interessa granché. Finché un ricco medico del posto, che la conosce sin da bambina, non intravvede in lei la candidata perfetta per il ruolo di sindaco.
Pauline all’inizio recalcitra, anzi si nega a quella bizzarra proposta; ma il dottor Berthier sa come lusingarla, e un po’ alla volta l’infermiera si farà coinvolgere nella campagna elettorale. Accettando di tingersi i capelli di biondo come la leader del partito Agnès Dorgelle (appunto una specie di Marine Le Pen), di adeguarsi agli slogan populisti, addirittura di farsi proteggere da manesche guardie del corpo di stampo razzista. Nel fuoco della battaglia politica, mentre il padre e gli amici la ripudiano, l’incontro forse casuale con un ex fidanzato pugile e soldato, soprannominato Stanko, sembra ridare a Pauline il piacere di essere desiderata, di avere un uomo accanto. Ma anch’egli custodisce un fosco segreto, imbarazzante per tutti, incluso lo stesso partito nazionalista che sta cercando di ripulire la propria immagine xenofoba e fascista.
Dice il regista Belvaux: “Sì, è un film politicamente impegnato, ma non militante. Non espone nessuna teoria, ho provato a descrivere una situazione, un partito, una formazione sciolta, per decifrare il suo discorso, comprendere il potere di seduzione”. In effetti “Chez nous – A casa nostra” questo racconta, per alcuni versi proponendosi come una versione aggiornata ed europea del “Candidato” con Robert Redford. Come il Bill McKay di quel profetico film del 1972, anche Pauline Duhez si illude all’inizio di poter essere se stessa nel proporsi agli elettori, di elaborare proposte “dalla parte della gente”, di rompere antichi privilegi. Ma presto si accorge di essere solo una marionetta nelle mani di forse oscure, con interessi economici voraci e legami ambigui con ambienti paramilitari.
Tutto abbastanza prevedibile, anche se il film sfodera una qualità speciale, tipica del cinema francese, nel descrivere un mondo di provincia in bilico tra orgoglio sciovinista e pregiudizio razziale, ideali di progresso e nuove demagogie. Poi tutto precipita, anche sul piano drammaturgico, e il film soffre di qualche schematismo, da cospirazione annunciata. Però gli interpreti sono davvero intonati, a partire da Émilie Dequenne, che conferisce alla sua Pauline, così fisicamente normale, la giusta dose di pragmatismo gentile e fragilità femminile. André Dussolier, Guillaume Gouiz e Catherine Jacob incarnano invece il versante “nero” di Révolution Nationale (questo il nome del partito nella finzione), nelle sue diverse configurazioni: in doppiopetto, squadristico e istituzionale. A scanso di equivoci, un film da vedere, ma sapendo che la vera Marine Le Pen è molto più sottile, carismatica e insinuante del suo “doppio” Agnès Dorgelle.
PS. Anche un film di Francesca Comencini del 2006 si chiama “A casa nostra”. Pure lì si parla di politica, ma in tutt’altra chiave.
Michele Anselmi