Alberto Pallotta licenzia un nuovo volume per Arcana in cui ripercorre eccessi e successi dei Rolling Stones, a partire dagli articoli usciti sulla stampa italiana e concentrandosi sull’iniziale sull’ostracismo subito dalla band nel Belpaese. Ne abbiamo parlato con l’autore.

“Chi ha paura dei Rolling Stones” mette nero su bianco l’iniziale (s)fortuna giornalistica presso le nostre principali testate della band britannica, confermando quanto la cattiva fama sia in realtà la migliore delle pubblicità. Parliamo di questo tema?
Alberto Pallotta: Questa è un po’ un’arma a doppio taglio, perché se la ribellione e l’irriverenza hanno un grande fascino sui giovani, non dimentichiamo poi che agli esordi, in Inghilterra, e anche nel mondo, c’erano dei movimenti generazionali molto forti, è anche vero che stimolano la riluttanza e, talvolta, l’odio delle classi dirigenti e dei cosiddetti “benpensanti”. Se da una parte il seguito dei fan cresce esponenzialmente, con ritorni economici importanti, dall’altra i controlli della vita privata della band, ad opera delle forze dell’ordine, si fanno più serrati perché è finita nell’occhio del ciclone e costituisce, per il suo messaggio “negativo”, una sorta di pericolo pubblico. Sostanzialmente, non credo che questo agli Stones desse fastidio più di tanto, tutto sommato se la cavarono sempre con il pagamento di cauzioni e mai con la detenzione, però tutto ciò, a lungo andare, si è riverberato sui loro ammiratori, si è operata una traslazione. Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei. Sai come vanno queste cose, è comodo fare di tutta l’erba un fascio. Quindi il seguace del loro sound è finito a sua volta etichettato in maniera negativa. Anche questo poco importa, il rock non si suona in giacca e cravatta, con i violini, nell’aula magna di un conservatorio. Però, quando il tuo paese dice no ai Rolling Stones e non li fa suonare, e la giustificazione è perché portano la droga, la violenza e tanto altro di pericoloso, il dispiacere è innegabile perché va a scapito della fruizione. Una fruizione dal vivo che, in altri momenti, verrà meno per la paura degli impresari di andare in perdita con i loro concerti, questo accadeva attorno alla metà degli anni Novanta. Comunque, l’ipocrisia, spesso, non ha limiti. Il problema è sempre stato il loro aspetto. I Beatles, nonostante non conducessero una vita morigerata, non hanno mai avuto di questi problemi. Certo è che la cattiva fama sulla popolarità, e anche sulla notorietà, di un personaggio, il suo forte impatto ce l’ha. Questo è indubbio. La storia, al riguardo, ci ha fornito dei casi eclatanti.

Il volume si muove dalla lodevole intuizione di consegnare al lettore una monografia diversa sugli Stones, a partire dalle parole di altri. Come hai selezionato le testate e i vari articoli presenti nel volume?
A.P.: Vedi, qualcuno ha scritto che non ho citato articoli della mitica rivista musicale, mitica negli anni Settanta, “Ciao 2001”, ma l’ho fatto di proposito, dal punto di vista musicale è stato scritto tutto sui Rolling Stones. Invece, poteva essere interessante studiarne l’impatto sociale, senza scadere nel gossip, attraverso gli articoli pubblicati dai nostri quotidiani nel corso della loro carriera. Così ho scelto delle testate che potessero avere anche diversi orientamenti politici, che potessero fornire prospettive diverse. Se leggi gli articoli tratti da “L’Unità”, ad esempio, sono sempre intrisi di una certa bonarietà nei loro confronti. Altri giornali sono più “bacchettoni”. Però, al di là dell’impatto sociale, ho scoperto anche delle gustose notiziole a me sconosciute. Il che vuol dire tanto, perché ti assicuro che il capitale “Stonesiano” che possiedo a casa è notevole. Pensa che, originariamente, il volume aveva una foliazione di più di mille pagine. Poi, ci ho rimesso le mani per fargli acquisire un formato più consono alla politica e all’economia della casa editrice.

Dalla leggendaria “Lascereste uscire vostra figlia con un Rolling Stone” ad oggi quali sono le principali pietre miliari dell’immagine (o della nomea, se preferisci) degli Stones presso l’opinione giornalistica italiana?
A.P.: Oggi sono i nonnetti del rock e non c’è più scalpore in quello che fanno, anzi, fa notizia la loro estrema longevità e il desiderio di continuare nonostante la morte di Charlie Watts. La paura non c’è più, oggi sono innocui, Mick Jagger è anche stato nominato baronetto, ma, secondo me, una volta diventati una multinazionale, con un giro economico da nababbi, la ribellione, se mai ci sia stata realmente, se n’è andata a farsi benedire. Sai, un conto è la ribellione, un conto la coltivazione di un vizio. Quando Mick Jagger sposò Bianca furono in molti ad aspettarsi un matrimonio minimalista, e, invece, fu una celebrazione in pompa magna. Qualcuno lo interpretò come un tradimento, qualcun altro come il desiderio di dare un colpo di spugna al passato. Ne erano successe troppe, i continui arresti per detenzione di stupefacenti, la morte di Brian Jones, che non si è mai capito se sia stato un incidente o sia stato spinto in piscina da un muratore che stava ristrutturando la sua villa, con il quale aveva avuto un diverbio, fino all’infelice scelta di assoldare gli Hells’ Angels come guardie del corpo durante il concerto di Altamont, in cui fu accoltellato il giovane Meredith Hunter. Dopo quell’esibizione cambiarono molte cose, rimase la provocazione, nei testi, negli spettacoli, la citata cultura del vizio, senza regole, ma si iniziò a pensare a un’amministrazione economica, patrimoniale, molto più manageriale, e a un espatrio dettato dal desiderio di aggirare la schiacciante imposizione fiscale britannica. Non dimentichiamo, comunque, che in mezzo a tutto questo turbinio di eventi ci sono alcuni dei migliori album della storia del rock, come “Aftermath”, “Let it bleed”, “Exile on Main St.” e “Sticky Fingers”. Sesso, droga e rock ‘n’ roll cantava Ian Dury tanti fa. Con il passaggio del tempo quasi tutto viene meno. L’imborghesimento è dietro l’angolo e si sorride amaramente nel leggere che Mick Jagger è sempre stato un estimatore di Margaret Thatcher. Chissà cosa ne pensava lei di loro, ai bei tempi che furono della “London Swinging”. Resta solo il rock’n’roll, perché, come recita la canzone, ci piace.

Come hai lavorato al progetto con Arcana?
A.P.: Mi hanno dato una grande libertà, quindi non posso che ritenermi pienamente soddisfatto. Però, pensa che bello un volume sugli Stones con più di mille pagine… Altro che le biografie di Bill Wyman!