Un ricordo di Lietta Tornabuoni | Da Il Fatto Quotidiano di oggi

Adesso diranno che è morta una dei nostri migliori critici cinematografici. Era caduta prima di Natale in una sala cinematografica romana, al termine della proiezione di un film. Non si è più ripresa. La Stampa, dove scriveva ormai da anni, manda in rete la notizia della sua morte con relativo coccodrillo: “è mancata questa notte al Policlinico di Roma la nostra collega e grande critico cinematografico”. Ma è un ricordo parziale. Muore una giornalista laica e indipendente, che non si è lasciata sopraffare dal potere, quando hanno cercato di silenziare la sua voce. Accadde allorchè Bettino Craxi, allora Presidente del Consiglio, chiese la sua testa a Gianni Agnelli, proprietario del giornale. Per tacitare le critiche che Lietta gli muoveva quando le meritava. Lo ha raccontato lei una delle ultime volte che l’ho incontrata, per parlare non solo di cinema. Prima di fare il critico, era stata soprattutto una delle nostre più acute opinioniste. Appunto sulla Stampa, teneva una rubrica al vetriolo sui nostri mali di sempre: il trasformismo, le contorsioni dei politicanti, il dilagare corruttivo che stava per esplodere prima di Mani pulite. Sappiamo cosa rispose Agnelli, sovrano illuminato in quel di Torino, quando informò Lietta stessa della richiesta di Craxi. Lietta era solita essere svegliata la mattina prestissimo dal capo della Fiat, notoriamente insonne. L’avvocato d’Italia, a differenza di Sergio Marchionne, teneva in grande considerazione i consigli dei giornalisti. Voleva apprendere da Lietta che si diceva a Roma, cosa succedeva. Gli piaceva essere aggiornato. Il gossip allora non era ancora dilagante e l’avvocato poteva permettersi di ricevere in esclusiva notizie di prima mano. Nella sua rubrica Lietta era solita scrivere di politica e di cose varie. Mi raccontò che alla Stampa non aveva mai avuto un pezzo censurato. Neppure quando, in occasione dell’uscita di un mio film, Forza Italia! (cosceneggiato dal direttore del Fatto Antonio Padellaro insieme all’allora eversivo Carlo Rossella) scrisse un pezzo di elogio. In quella circostanza criticò invece la censura che la Rai aveva appena imposto a Maurizio Costanzo, cancellando dal palinsesto l’intervista sul nostro film programmata per “Bontà loro”. Insomma, che disse Agnelli in quella telefonata mattutina? Avvisò Lietta della richiesta craxiana. E tacque. Lietta si limitò ad ascoltare in silenzio. L’avvocato a volte non era di molte parole. Si cambiò discorso e si parlò dei fatti della settimana. Poi che successe? Agnelli chiese al suo direttore la testa di Lietta per compiacere Craxi? Nulla di tutto ciò. Allora non c’erano ancora i giornalisti giannizzeri a guardia dei quotidiani. Lietta però era una persona di grande intuito e intelligenza. Capì che stavano arrivando tempi cupi. E decise lei di togliere l’incomodo. Con la sua scelta, contribuiva anche a togliere l’avvocato dall’impaccio, che capì il gesto e si sentì sicuramente sollevato. D’ora in poi si sarebbe occupata di cinema. Fu così che perdemmo una opinionista di valore e acquistammo un critico di cinema. Non gliel’ho mai chiesto, ma credo che il ramo della sua famiglia discendesse da Lucrezia Tornabuoni, madre di Lorenzo il Magnifico. A 18 anni decise che voleva diventare giornalista e nel primo dopoguerra iniziò a scrivere sulle colonne di “Noi donne”. Poi era passata a “Novella”, quindi a testate più importanti, “L’Espresso”, “L’Europeo”. Alla fine degli  anni settanta per alcuni anni firmò gli articoli sul “Corriere della Sera”. Infine il passaggio a “La Stampa”, da cui non si è più mossa. Era un’anima solitaria, specie negli ultimi tempi, dopo la scomparsa precoce del fratello pittore e soprattutto di Oreste del Buono, al quale era legata da un intimo sodalizio. Apparteneva alla stessa scuola di pensiero, incurante del conformismo e insofferente delle prepotenze. Ha criticato le parole del Papa, quando nell’Esortazione apostolica allude ai gay parlando di comportamenti contro natura. Non esistono comportamenti contro natura, ha scritto Lietta, perché ogni azione dell’uomo è insita nella natura umana. Per queste parole si è attirata gli strali dei clericali oltranzisti, che hanno definito il suo articolo “il trionfo dell`antropologia da osteria”. Magari  nelle osterie dilagassero queste discussioni. L’ultima volta che l’ho ringraziata è stata quando in radio ha voluto difendere I Viceré dagli attacchi di una critica sgangherata. Voglio ricordarla con uno splendido articolo che scrisse per “L’Europeo” quando si uccise luigi Tenco. Eccolo: “Quanti cadaveri, al XVII Festival di Sanremo. I giovani sconfitti, la canzone di protesta nata morta, la via italiana del beat fallita, lo yé-yé finito, il disco condannato. Per non parlare del cadavere orribilmente sfigurato di Tenco, trasportato via in segreto con fretta indecente, seppellito in solitudine. Subito dimenticato. Persino irriso da certi colleghi cantanti con battute atroci come ‘adesso ha finito di protestare’. Definitivamente liquidato dal capellone milanese che alla domanda ‘E Tenco?’, squaderna pollice e indice delle mani, prende la mira, ride e spara intonando: ‘Bang bang’”. Ciao Lietta.