L’angolo di Michele Anselmi
Bella sfida quella tra i Manetti Bros e “Blade Runner 2049”. Un po’ Davide contro Golia. Fossi in voi, darei prima una chance ai due fratelli italiani, anzi romani, ma anche un po’ napoletani, che arrivano nelle sale con il loro “Ammore e malavita”. Molto apprezzato alla recente Mostra di Venezia, dov’era addirittura in concorso, e adesso alla prova del fuoco nel giorno in cui esce, in un delirio di commenti intorcinati, il fantascientifico seguito di “Blade Runner”.
Un mese fa la battuta che girava tra i festivalieri al Lido era questa: da “La La Land” a “Na Na Land”. Na come Napoli, s’intende. Ormai cittadini onorari della città partenopea, Antonio e Marco Manetti, meglio noti come i Manetti Bros, hanno deciso di dare un seguito al loro fortunato “Song’e Napule” del 2013. Il nuovo film doveva chiamarsi “Nun è Napule”, ma strada facendo s’è preferito “Ammore e malavita”, non proprio da strapparsi i capelli ma funzionale al clima da musical survoltato con un occhio al poliziesco d’azione e uno alla sceneggiata strappacuore.
Il film, nato da un’idea di Carlo Macchitella, che coproduce con la società dei Manetti e soprattutto Raicinema, è una riuscita: fresco, divertente, ricolmo di strizzatine d’occhio e parodie cinefile, anche di ottima musica firmata da Pivio & Aldo De Scalzi su testi di Alessandro Garofalo (Nelson). Dura tanto, ben 133 minuti, una mezz’ora meno di “Blade Runner 2049”, ma non si guarda mai l’orologio, il che depone a favore dell’esperimento. Rivolto al grande pubblico e tuttavia animato da una certa finezza/scaltrezza d’autore.
Nel frullatore dei Manetti pure “Gomorra” diventa lo spunto per uno sfottò tra l’affettuoso e il pungente: vedi la gita turistica alle Vele di Scampia, su una scuola-bus rubato, con tanto di scippo per la delizia dei paganti stranieri; ma soprattutto l’apparizione dello spilungone e nasuto Ciro Petrone, il quale, benché armato di Kalashnikov AK-42 come nel film di Garrone, stavolta viene risparmiato per quanto è maldestro.
La storia, ridotta all’osso. Scampato per miracolo a un agguato, il potente don Vincenzo finge d’essere morto e si nasconde nella segretissima “panic room” in attesa d’espatriare con la moglie avida. Nella bara è finito un povero venditore di scarpe colpevole solo di somigliargli. Ma un’infermiera precaria ha visto in ospedale ciò che non doveva vedere, sicché il superkiller Ciro, metà di un duo letale chiamato “Le tigri”, viene spedito a eliminarla. Facile a dirsi: Fatima, la giovane donna, fu nell’adolescenza il primo amore del sicario, che ora, nel ritrovarla uguale e cambiata, non sa più bene cosa fare…
Le citazioni si sprecano: “Flashdance”, i film di 007, “Il marchese del Grillo”, “Ritorno al Futuro”, i polizieschi di John Woo, e via accumulando. Ma non sono ingombranti o gratuite. I Manetti giocano con una certa Napoli “neo-melodica” e col prediletto cinema di genere, ritagliandosi anche una comparsata nella metropolitana di New York. Sopra le righe quanto basta, e pure bravi a cantare e ballare, gli interpreti principali, che sono Giampaolo Morelli, Serena Rossi, Claudia Gerini, Carlo Buccirosso in doppio ruolo e Gennaro Della Volpe in arte Raiz. Avrete capito che “Ammore e malavita” lavora sui cliché partenopei con spirito goliardico, senza prendersi mai sul serio. Per questo di sicuro piacerà anche al sindaco Luigi de Magistris e al patron Aurelio De Laurentiis (infatti in Campania il film esce oggi, mercoledì 4 ottobre, domani nel resto d’Italia).
Michele Anselmi