Forme pure e forme impure | Il grande schermo e la ricerca del mouse

Il mondo crossmediale invaderà il cinema? Durante lo scorso Festival del cinema di Roma nel padiglione della FilmCommission si è tenuto un interessante convegno sulla scrittura cinematografica e il nuovo universo della crossmedialità. Intanto che vuol dire questa parola che ad alcuni ricorda il ciclocross? Ecco come la definisce wikipedia: “con il termine cross-media (o crossmedia, crossmedialità) ci si riferisce alla possibilità di mettere in connessione l’uno con l’altro i mezzi di comunicazione, grazie allo sviluppo e alla diffusione di piattaforme digitali. Le informazioni vengono emesse, e completate, in virtù dell’interazione tra i media. Per cui assistiamo a performance comunicative nelle quali i principali mezzi di comunicazione interagiscono fra di essi, dispiegando l’informazione nei suoi diversi formati e canali. In questa tendenza internet è il mezzo che meglio si adatta. Nel gioco di rinvii da un mezzo, o un apparecchio, all’altro, spesso è coinvolto il web. Per esempio il web è consultato in diretta nelle trasmissioni televisive; la carta stampa fornisce codici da digitare per entrare in aree riservate dei siti web; la promozione di prodotti avviene lanciando storie che rimpallano dall’offline all’online e viceversa.

Elio Girlanda, uno dei relatori del convegno ha ricordato come a suo tempo già Bazin avesse intuito il divenire del cinema, coniando il termine “cinema impuro” per definire tutte quelle manifestazioni extracinematografiche “pure”, tipiche della proiezione sul grande schermo. Sta di fatto che oggi le contaminazioni sono all’ordine del giorno. Senza scomodare le fantasie dell’ultracitato Avatar, basta vedere come anche un maestro del cinema puro, Martin Scorsese, si sia piegato all’acquisizione di fonti impure, vedi le graphic novel e/o le derivazioni del 3D per riversarle sul grande schermo, come nel caso della sua ultima fatica, Hugo. In realtà oggi fare cinema impuro significa soprattutto rivolgersi alla crossmedialità. Il che comporta rompere le regole della scrittura tradizionale, cuore centrale della dinamica e della drammaturgia del cinema. Il pubblico moderno è caratterialmente ansiogeno, cerca nuove frontiere e in particolare nuove illusioni. Ha una sete disperata di novità, anche a buon mercato.

Con l’era di internet sono apparse nuove tecnologie, nuove forme di comunicazione, di informazione e di spettacolarizzazione, finalizzate alla produzione di nuovi linguaggi e nuovi metalinguaggi. Il rischio è che in un prossimo domani scrittori e sceneggiatori si trovino di colpo obsoleti, perché incapaci di afferrare il vento che spira dentro e fuori lo schermo della rappresentazione. Mirabile l’esempio citato nel saggio di Clay Shirky sul surplus cognitivo, quando fa l`esempio della bambina che chiede al padre cosa ci sia “dietro” al televisore. Il padre non capisce, credendo voglia dire “dentro” il televisore. No, insiste la piccola: “dietro”. E va a rovistare  dietro il piccolo schermo, tra i cavi dell’apparecchio in cerca del mouse. Per lei la tv non può essere a senso unico, abituata sin dall’infanzia a interagire con il monitor della sua playstation. La televisione di domani, sono in molti a esserne convinti, se vuole sopravvivere dovrà implicare la formazione di un nuovo genere di spettatore, non più passivo, come il padre della bambina citata da Clay, ma propositivo, dinamico, in una parola interattivo, dotato di touchscreen. E il cinema? Cercherà anch’esso il mouse? E’ credibile la nascita di uno spettatore non più immerso nel buio della sala, bensì impegnato a determinare l`evoluzione del racconto e a partecipare attivamente? Se ciò dovesse accadere, che fine farà il nostro sognare a occhi aperti davanti al grande schermo?

Roberto Faenza