Se all’improvviso la tenda dietro il bolso imitatore dell’ eroe de La febbre del sabato sera si aprisse quali orrori penetrerebbero l’oscura sporcizia del teatrino periferico? In realtà l’invasione degli spettri è già avvenuta: essi non si vedono ma il loro fetore si percepisce nel buio, e il loro soffio pestilenziale ha spento le luci del palcoscenico, trasformando il rutilante musical nella danza macabra di una veglia funebre. All’atmosfera di morte non è sopravvissuta la mente del protagonista: il braccio rialzato indica non la mossa aggraziata di una danza bensì lo smarrimento e la follia di chi asseconda le proprie allucinazioni. Il contesto dunque dà il tono alla storia, ambientata nel Cile della dittatura di Pinochet, dell’ossessione di Raul Peralta per il mito hollywoodiano del ballerino interpretato da Travolta: l’ascesa verso le stelle di Tony Manero diventa la grottesca discesa senza possibilità di riscatto di un deforme emulo.
CINEPOSTER: TONY MANERO
