L’angolo di Michele Anselmi 

In effetti ha ragione la regista Greta Gerwig quando fa sua, piazzandola addirittura sui titoli di testa, una battuta della poetessa locale Joan Didion: “Chi parla dell’edonismo californiano non ha mai passato un’estate a Sacramento”. Pochi ricordano che Sacramento è la capitale della California, nel senso che lì lavora e abita il governatore, anche se la città supera di poco i 400 mila abitanti e vive immersa in un’appiccicosa umidità che supera il 90 per cento, con temperature che raggiungono anche i 45 gradi.
Greta Gerwig, classe 1983, attrice cara a un certo cinema indipendente, in gergo definito “mumblecore” perché i personaggi borbottano sempre in preda ai disagi esistenziali, ha fatto bingo debuttando alla regia con questa graziosa e un po’ inconsistente commedia autobiografica, almeno in parte, che s’è aggiudicata ben 5 candidature agli Oscar. Di sicuro non uscirà a mani vuote, domenica sera, dalla cerimonia. L’aria che tira a Hollywood, dopo lo scandalo Weinstein, sembra favorirla, ed è pure vero che l’Academy ha qualche peccatuccio da farsi perdonare: in 89 anni solo cinque donne, inclusa lei, hanno ricevuto la nomination per la miglior regia.
“Lady Bird”, in questo caso non significa “coccinella”, è il soprannome un po’ da rock-star che la diciassettenne Christine si è data per sottrarsi al clima soffocante (in ogni senso) di Sacramento. Il suo sogno è scappare da lì e studiare a Yale. Ribelle e insofferente, la ragazza dai capelli rossi patisce tutto: il liceo religioso “Sacro Cuore” dove studia svogliatamente e mangia per sfregio le ostie non consacrate; la famiglia piccolo borghese costretta a tirare la cinghia su tutto dopo che il padre è rimasto senza lavoro e la madre tiranna porta avanti la baracca; la coetanee ricca con sontuosa villa e donne di servizio preferite all’amica cicciottella del cuore; i ragazzi con i quali prova a intrecciare una storia e perdere la verginità, solo che uno si rivela un sensibile gay e un altro un rocker maledetto e infranciosato…
Tutto più o meno già visto in tante commedie del genere, per esempio la recente “17 anni (e come uscirne vivi)”; solo che “Lady Bird”, da oggi 1 marzo nelle sale con Universal, per una strana alchimia è diventato un film alla moda, un romanzo di formazione dai risvolti ironici, con qualche iniezione drammatica, perfettamente calato nell’America tra il 2002 e il 2003, dopo l’attentato alle Torri Gemelli. L’eco di quella tragedia arriva ovattata a Sacramento, ma intanto Lady Bird, nell’attesa di tornare a farsi chiamare Christine, deve fare i conti con le strettoie dell’esistenza, anche la fatica di crescere e diventare donna.
Esperienze di vita vissuta e suggestioni letterarie confluiscono nel ritratto di questa ragazza nella quale la regista sembra aver riversato molto di sé, anche se la 23enne irlandese Saoirse Ronan (pronuncia: “Sorsci”), ringiovanendosi di qualche anno, ne fa un personaggio originale, anche amabile nella sua falcata orgogliosa e le sue magliette a strati: ora antipatica e ingiusta, ora sensibile e affettuosa, ora buffa e indifesa.
Tranquilli: il lieto fine c’è. Nel cast figura anche quel Timothée Chalamet, qui fa il rocker fascinoso e frescone, oggi molto in voga al cinema per aver interpretato col nostro Luca Guadagnino il giovinetto sessualmente inquieto di “Chiamami col tuo nome”.

Michele Anselmi