A colloquio con Cristina Borsatti, story editor, sceneggiatrice, giornalista e autrice televisiva che con “Scrivere per il cinema e la televisione” e “Scrivere sceneggiature”, pubblicati da Editrice bibliografica nel 2018 e nel 2020, colma una mancanza non da poco nella manualistica cinematografica italiana.
“Scrivere per il cinema e la televisione” e “Scrivere sceneggiature” rappresentano una novità non da poco se si considera che la maggior parte dei testi che si trovano sugli scaffali delle librerie sono generalmente traduzioni di opere straniere. Com’è nata quest’idea?
Cristina Borsatti: Sono circa vent’anni che mi dedico all’insegnamento della sceneggiatura. Ho tenuto i miei primi laboratori sull’argomento in ambito universitario quando, all’Università degli Studi di Trieste, mi è stata affidata la cattedra di “Teoria e tecnica del linguaggio cinematografico”. Qualche anno dopo, ho iniziato ad insegnare all’Accademia di Cinema e Televisione Griffith di Roma e negli anni ho raccolto centinaia di pagine di appunti, una sorta di dispensa che è cresciuta nel tempo e che è stata alla base delle mie lezioni.
Per risponderti, erano diversi anni che pensavo di mettere in ordine quelle pagine, per dar vita ad un saggio che si rivolgesse a quanti desiderano imparare il mestiere, esattamente come i miei giovani studenti di sceneggiatura. Così è nato “Scrivere per il cinema e la televisione”, in cui ho tentato di prendere per mano il lettore partendo dalle basi e dando poco per scontato. “Scrivere sceneggiature. Dal grande al piccolo schermo” è stata una conseguenza, perché l’argomento è piuttosto vasto. Serviva un secondo volume per abbracciarlo interamente e, date a quel punto per assodate le basi, entrare nel vivo della narrazione cinematografica e, soprattutto, televisiva.
I due volumi brillano per la capacità di trovare una presa diretta con il lettore: si entra subito nel vivo con consigli pratici, schemi, indicazioni su come muoversi. Sembra quasi che tu abbia voluto scrivere il testo di cui sentivi la mancanza quando hai iniziato il lavoro di sceneggiatrice… Cosa ne pensi?
C.B.: Hai centrato l’obiettivo. Effettivamente, credo di aver tentato di scrivere il testo di cui avrei avuto bisogno quando ho cominciato a muovere i miei primi passi in questo mestiere.
Sono stati pubblicati straordinari manuali sulla sceneggiatura, i migliori sono americani e, perlopiù, scritti da story editor di fama mondiale. Il più famoso è “Story” di Robert McKee, ma sono imperdibili anche i volumi di Linda Seger, Dara Marks, Syd Field e Howard Davis.
Ogni anno accademico ne consiglio la lettura.
Ma ciò che interessa a questi autori è la drammaturgia, aspetto-chiave del mestiere, non però l’unico. Ci sono tanti linguaggi che deve conoscere uno sceneggiatore, ad esempio deve apprendere il linguaggio cinematografico che, dico sempre ai miei studenti, tutti sappiamo leggere ma non tutti sappiamo scrivere. Per questo all’inizio è importante capire come sono fatti gli strumenti del mestiere: soggetti, scalette, trattamenti, concept e script. Ci insegnano il linguaggio del cinema e ci mettono di fronte al senso profondo di una sceneggiatura. Un testo provvisorio che si rivolge a tecnici e che aspira a diventare altro da sé, film o serie che sia.
Ricordo che un testo che ho amato molto ad inizio carriera è stato il “Manuale di sceneggiatura cinematografica” di Luca Aimeri, l’unico a soffermarsi anche su questo aspetto.
Effettivamente, “Scrivere per il cinema e la televisione” l’ho scritto pensando a me, all’inizio, alla ricerca degli strumenti tecnici e pratici di questo lavoro.
È interessante notare come le strategie che, di capitolo in capitolo, emergono per costruire uno script valido finiscano col mettere nero su bianco una forma di scrittura particolarissima, in bilico tra parola e immagine. Possiamo parlare di questo aspetto troppo spesso sottovalutato del lavoro dello sceneggiatore?
C.B.: Si dice spesso che la sceneggiatura sia una moderna forma di letteratura, ma non è detto che uno scrittore sappia metterci le mani, né che uno sceneggiatore sia in grado di scrivere un romanzo.
“Scrivere sceneggiature” inizia con una citazione: “Lo sceneggiatore non è uno scrittore, è un cineasta e, come tale, non deve rincorrere le parole, bensì le immagini. Deve scrivere con gli occhi.” A parlare è Suso Cecchi D’Amico, la più grande sceneggiatrice italiana di sempre. Aveva proprio ragione, la parola è a servizio dell’immagine quando si scrive un film e uno sceneggiatore deve essere per forza un uomo, o una donna, di cinema.
Quello che voglio dire è che durante la scrittura dirige, illumina e monta il film. Non deve essere necessariamente un regista, un direttore della fotografia, uno scenografo o un montatore, ma deve conoscere interamente la macchina e sapere esattamente dove andranno a finire le sue parole.
Quando si scrive una sceneggiatura ci si chiede continuamente: cosa vedo ora sullo schermo? Si immaginano i cambi di inquadratura e i movimenti di macchina. Si cerca di imprimere la luce, la tonalità drammatica. A questo servono le parole, devono essere esatte, e anche la punteggiatura è importante.
Scrittura davvero particolare. Un lavoraccio, bellissimo, che esige una certa formazione.
Oltre alla validità generale dei testi come supporto per la fase della preparazione e della sceneggiatura vera e propria, un motivo non da poco per affiancare i tuoi due manuali ai classici del genere sono l’analisi e la didattica dedicate alla creazione di un prodotto seriale, specialmente adesso che i colossi dello streaming sembrano voler cambiare il modo stesso di raccontare. Vogliamo parlare di questo e della “nuova fame di storie”?
C.B.: Questo è un momento davvero elettrizzante per gli sceneggiatori. Le piattaforme in streaming hanno risolto in un colpo solo quelli che sono sempre stati due grossi problemi per gli scrittori di immagini: la produzione e la distribuzione. Internet garantisce una library illimitata, uno spazio potenzialmente infinito dove collocare storie. E con un click possono essere distribuite in tutto il mondo. Il pubblico sembra gradire e non ha mai avuto tanta scelta a portata di mano.
Non poteva far finta di niente neppure un volume dedicato alla sceneggiatura in questo momento. Perciò “Scrivere sceneggiature” inizia proprio da qui e dal conseguente e rinnovato interesse per i prodotti in serie.
La serialità è sempre esistita, oggi ha conquistato letteralmente il pubblico. Nel secondo volume cerco di capire perché e tento di fornire strumenti utili a quanti desiderano scrivere un racconto seriale. Qualità e complessità sono i termini chiave, perché la serialità oggi è sempre meno televisiva e sempre più novellistica e cinematografica.
L’avvento dei colossi in streaming porterà con sé cambiamenti a lungo termine. Gli sceneggiatori lo sanno, devono muoversi su più scacchiere, ogni storia che inventano potrebbe diventare un film o una serie.
Le regole di base sono sempre quelle dai tempi dei feuilleton letterari. Basterebbe leggere un romanzo a puntate di Dumas o Balzac per comprendere di cosa ha bisogno la serialità. Certo, esistono molti formati (serie episodica, serie serializzata, sitcom, miniserie, etc.) e ancora molti contenitori (dalla tv generalista allo streaming, passando per la pay tv). Ho cercato di mettere ordine, elencando le principali strutture, ma presente e futuro sembrano andare verso un a direzione unica: una breve serialità (da 6 a 12 puntate) in cui trionfa la linea orizzontale, come al cinema, un filo rosso da seguire con il fiato sospeso che attraversa l’intero progetto.
A differenza dei manuali scritti dagli sceneggiatori puri, i tuoi mi sembrano avere il plus di un’autrice che è anche un critico cinematografico. Già nella scelta dei film, delle serie e dei libri citati si sente un’attenzione particolare agli apparati di riferimento…
C.B.: La scelta dei titoli esemplari, le citazioni, i testi di riferimento… hai ragione. Sicuramente sono lega,ti alla mia attività giornalistica, ma anche alla mia formazione accademica.
Alla fine ogni libro vive del plus del suo autore. Qui Bazin sta accanto a Boris. Mi auguro che il risultato sia abbastanza pop.
A cosa stai lavorando ora? Il dittico diventerà una trilogia?
C.B.: Quello che doveva essere un unico volume è diventato un dittico e sì, sto lavorando su un terzo volume. Ma prometto che sarà l’ultimo. Il più complesso, in quanto dedicato al mestiere dello story editor, il “correttore di bozze” di una sceneggiatura.
Un mestiere che ho fatto per molti anni, individuando decine e decine di errori ricorrenti nelle prime stesure degli script che ho letto.
E, siccome ogni sceneggiatore deve essere il primo story editor di se stesso, spero che “Scrivere e riscrivere il film e la serie” possa tornare utile.