La Mostra di Michele Anselmi per Cinemonitor | 18

Circonfuso da un’aura al tempo stesso di capolavoro e disastro, “Freaks Out” è approdato in concorso alla Mostra di Venezia. Il film, assai costoso, dalle riprese prolungate, colpito da continui rinvii causa pandemia, uscirà nelle sale il 28 ottobre, e vedremo se il pubblico giovanile risponderà alla curiosa offerta che arriva da Gabriele Mainetti, che fu regista del fortunato “Lo chiamavano Jeeg Robot”. Non c’è bisogno di scomodare “Freaks” di Tod Browning, 1932, per capire che Mainetti e il suo sceneggiatore Nicola Guaglianone compiono un’altra “ibridazione di generi” (le chiamano così) all’insegna di una cinefilia accanita e irriverente che mischia spunti, ossessioni, gusti e ambientazioni storiche. Non a caso il regista ha spiegato così la genesi del kolossal: “Il freak è una creatura unica, calarlo in un spazio di conflitto come quello della guerra accanto ai nazisti che cercano la perfezione della razza mi sembrava interessante. Onestamente non volevo fare il neorealismo, non ne sarei in grado”.

Eppure anche quella gloriosa cine-stagione torna tra le strizzatine d’occhio che “Freaks Out” dissemina nel corso dei suoi 140 minuti. Dal “ciccarolo” di “Ladri di biciclette” alla corsa di Anna Magnani in “Roma città aperta”, dal partigiano deforme di origini meridionali che evoca “Il Gobbo” di Lizzani, a sua volta ispirato alle gesta del “gobbo del Quarticciolo”, al “porchetta nera” ripreso da “Sotto il sole di Roma” di Castellani. Ma naturalmente il film gioca sui campi più diversi, esteticamente intendo, e così, mi pare, Monicelli e Leone convivono con Burton e Del Toro, “I fantastici 4” della Marvel con “Bastardi senza gloria” di Tarantino. E mi fermo qui per non annoiare, anche perché non sarei in grado di cogliere tutte le citazioni.

Siamo nella Roma del 1943. Nel “Circo Mezzapiotta” si replica con successo lo spettacolo. Sotto la regia accorta del direttore Israel, cioè Giorgio Tirabassi, barba lunga e sguardo paterno, le quattro attrazioni divertono grandi e piccini: sono l’erculeo Fulvio, una specie di Uomo Lupo coperto di peli dalla testa ai piedi (Claudio Santamaria); l’elettrica, quindi intoccabile, Matilde che accende le lampadine mettendole in bocca (Aurora Giovinazzo); il piccolo Mario che attira i metalli come fosse una calamita vivente e non smette mai di masturbarsi (Giancarlo Martini); l’albino Cencio che governa lucciole e insetti, all’occorrenza ingoiando scorpioni (Pietro Castellitto). Ma di colpo arrivano le bombe alleate a distruggere tutto e per i quattro circensi rimasti disoccupati comincia una strana avventura sotto il cielo di Roma, tra orrori, rastrellamenti e tedeschi da combattere coi loro “magici” poteri, nella speranza di salvare il capocomico ebreo avviato verso Auschwitz.

“Il cinema è il gioco di raccontare storie per toccare il nostro bambino interiore” dice Mainetti citando Spielberg. Nel caso di “Freaks Out” la partenza è magnifica, perché il film sfodera maschere tragiche che fanno ridere in un mix di ribollente fantasia e realismo estremo, come se “Dumbo” (il remake) incontrasse “Salvate il soldato Ryan”. E siccome un cattivo deve esserci, ecco il supernazista Franz, un po’ il quinto freak (è Franz Rogowski): uno scienziato/pianista, dalle mani con sei dita e dal labbro leporino, capace di “vedere” il futuro, profetizzando il suicidio di Hitler e la nascita dello smartphone. “Sono la Cassandra del III Reich” ghigna dalla tolda di comando del ricchissimo Berlin Zirkus.

Prodigiosi effetti speciali, cupe visioni oniriche, la pioggia di traccianti notturni, svastiche in tutte le salse; e tuttavia “Freaks Out” si perde un po’ nell’eccesso di digressioni, come se non sapesse bene dove condurre i suoi eroici “fenomeni da baraccone” capaci di rovesciare, almeno in parte, il corso della storia. Si esce frastornati dal film, specie dopo l’estenuante battaglia finale, ma forse è ciò che volevano gli autori e i produttori, che sono Goon, Lucky Red e Rai Cinema.

Michele Anselmi