L’angolo di Michele Anselmi
Dico la verità: non mi manca affatto il festival di Cannes. Non ci vado dal 2000, l’ultima volta fu con “l’Unità” poco mesi prima della dolorosa chiusura di fine luglio, in quello stesso anno, e francamente non sento la nostalgiai del rito cinefilo. Non vorrei sembrare snob, perché tale non sono. Chi ci tiene tanto, magari anche per esigenze di lavoro, fa bene a frequentare la Croisette. Neanche la Mostra di Venezia è al centro della mia esistenza, ma è più semplice ritrovarsi lì e godo ancora di qualche sostegno. Dico questo perché oggi ho letto alcune recensioni ben scritte su Facebook, ad esempio quella di Paola Casella per MyMovies.it, del nuovo, giustamente atteso, western di Martin Scorsese, “Killers of the Flower Moon”, che uscirà in Italia con Rai Cinema il prossimo 19 ottobre.
Mentre leggevo, con vivo interesse, mi sono chiesto: vorrei davvero partecipare a quella kermesse scomoda e pomposetta che tratta così male i giornalisti, imponendo loro delle corvée micidiali, anche sul piano delle prenotazioni digitali? No, per nulla. Non che al Lido vada tanto meglio, ma almeno ci si conosce, si parla italiano e tutto alla fine un po’ s’aggiusta più facilmente.
Qualcuno dirà: e chi se ne frega? Alla nota locuzione interrogativa nessun argomento può resistere, lo so. Nondimeno scrivo di getto queste righe per esprimere un subitaneo ma nitido stato d’animo, che ha a che fare, volendo, con la professione di cine-scriba (così si definiva Tullio Kezich, uno bravo davvero). Quando si va a un festival per scriverne quotidianamente, spesso con stress e fatica, si perde un po’ di vista il senso della realtà. Pensiamo che tutto il mondo giri attorno a quell’evento, nel quale ci immergiamo senza ritegno, anche senza la giusta distanza: tra proiezioni mattiniere, incontri e interviste (se fai anche cronaca), polemiche, corse in bicicletta o a piedi, telefonate dal giornale, file sotto il sole o la pioggia, pezzi da scrivere più o meno in fretta per essere di nuovo in sala all’ora giusta sennò non ti fanno entrare.
Da lontano, in genere, un compatto ma limitato mondo di addetti ai lavori legge, commenta, valuta, a volte esprime invidia o disinteresse. Ma con gli anni ho capito una cosa: ha senso essere ai festival e recensire a tamburo battente solo se i film escono il giorno dopo o quasi nelle sale, altrimenti quei pezzi diventano solo testimonianze vaghe, remote, che poco dicono a chi legge, da riutilizzare magari qualche mese dopo, con qualche piccola variazione, quando finalmente quei film saranno accessibili al pubblico vero, pagante.
Morale: so bene che tutto ciò che scriviamo, bello o brutto che sia, meditato o umorale, resta rintracciabile per anni grazie alle nuove tecnologie e agli archivi digitali; tuttavia non sarebbe male – chiedo aiuto a un concetto buddista che pure non sento così affine – se praticassimo con umiltà, serenità e senso della misura una certa idea di “impermanenza”. Io ci proverò, giuro.
Michele Anselmi