L’angolo di Michele Anselmi
Michele Anselmi per Cinemonitor
Bisogna imparare a fidarsi: questo mi pare il sentimento, toccante e intimo, che nutre il nuovo film di Francesco Bruni, sin dalla prima inquadratura. Si chiama “Cosa sarà” (Dalla non c’entra), a suggerirci, credo, una certa indeterminatezza della vita quando c’è di mezzo una malattia grave. Bloccato dal primo lockdown, quando si chiamava ancora “Andrà tutto bene”, il film passa oggi alla Festa di Roma e contemporaneamente esce nelle sale in 300 copie, produce la Palomar di Carlo Degli Esposti insieme a Vision-Sky.
Per chi non sapesse, il livornese Bruni, 59 anni, già sceneggiatore storico di Paolo Virzì e in proprio del “commissario Montalbano”, è partito da un’esperienza dolorosamente personale. Scrive nelle note di regia:
“Nel marzo 2017 mi è stato diagnosticato un tumore del sangue, la mielodisplasia, che è stato affrontato e (spero) risolto con un trapianto di cellule staminali ricevute da mio fratello, nel febbraio del 2018. Da quella vicenda drammatica ho tratto questa storia, che tuttavia ho voluto complicare ad arte, perché non fosse un semplice resoconto medico”. Distaccandosi quindi da quanto fece Nanni Moretti nel terzo episodio di “Caro diario”, Bruni trasforma la malattia in una sorta di “resa dei conti” con sé stesso, o meglio con il personaggio al centro della vicenda: un regista 45enne, tal Bruno Salvati, in stallo creativo, mai realmente approdato al successo (fa commedie che non fanno ridere), appena separatosi dalla moglie Anna.
In questo contesto, già poco sorridente, arriva l’infausta diagnosi: leucemia. Urge trapianto di cellule staminali, ma i figli Adele e Tito risultano non compatibili per via di un’allergia, e la ricerca all’estero non si annuncia facile. Finché il padre di Bruno, un riccone che gioca a golf e frequenta solo alberghi a cinque stelle, non rivela al figlio di aver avuto un’avventura amorosa in quel di Livorno, tanti anni prima. All’improvviso sembra accendersi un barlume di speranza.
“Cosa sarà” si distacca dai precedenti film di Bruni, che sono “Scialla!”, “Noi 4” e “Tutto quello che vuoi”. In effetti irrompe prepotentemente un elemento visivo dall’interessato definito “a tratti molto forte e antinaturalistico”. Così lo stato di semi-incoscienza indotto dai farmaci produce nel protagonista, allettato, rasato, alle prese con la chemio e il vomito, un affiorare di ricordi, visioni, fantasticherie. Il tutto tra piani temporali che si sovrappongono e impronte autoanalitiche. Come se Bruno Salvati, e con lui Francesco Bruni, fosse pigiato dagli eventi drammatici a misurarsi con una dimensione femminile sempre temuta o calpestata, forse per sfuggire a quello stigma – essere ritenuto “fragile e delicato” – che lo perseguita dall’infanzia.
Avrete capito che “Cosa sarà” è un film complesso, multistrato, a suo modo divagante, magari non sempre risolto sul piano stilistico, tuttavia attraversato da un palpito gentile; specialmente laddove dove il fattore umano, s’intende in una chiave cine-romanzesca, fotografa e condensa i rischi di un’esistenza costantemente in bilico (occhio alla locandina, con quella passeggiata sulla ringhiera).
Poi, naturalmente, c’è un elemento di commedia legato al cinema che si fa oggi in Italia: tra buffo e macabro, con una frecciatina nei confronti di chi vede i film sul computer o al cellulare, a suo modo quietamente rassegnato (in effetti non è un bel momento per uscire al cinema).
Kim Rossi Stuart, pure collaboratore al copione, si cuce addosso questo uomo perplesso e irrisolto, a volte maldestro e ridicolo, che assiste allo sbriciolarsi della propria vita, in attesa di un miracolo. Bella quella sua battuta in sottofinale: “Tieni presente che ho due Dna: sono una chimera”. Ma anche gli altri mi paiono intonati al clima generale: la moglie Lorenza Indovina, i figli Fotinì Peluso e Tancredi Galli, l’ematologa Raffaella Lebboroni (moglie di Bruni nella vita), il padre Giuseppe Pambieri, l’inattesa Barbara Ronchi, l’infermiere Nicola Nocella.
Racchiuso tra “A Perfect Day” di Lou Reed e “Altrove” di Morgan, il film fa un uso discreto della musica, per fortuna; e tuttavia si poteva toglierne ancora un po’: il vivido confronto sul terrazzino dell’hotel tra Bruno e sua figlia Adele è così preciso che sarebbero bastate solo le loro voci e il silenzio attorno, senza la codina di pianoforte.
PS. Il film è dedicato a Mattia Torre, sceneggiatore, drammaturgo e regista, morto a causa di un tumore il 19 luglio del 2019.
Michele Anselmi