L’angolo di Michele Anselmi | Pubblicato su “il Secolo XIX”

Lo sapevate? «Secondo una ricerca fatta dall’università di Berkeley i ricettori del cervello stimolati dai social network sono gli stesi sollecitati dall’eroina» informa Simone Gandolfo, classe 1980, ligure di Imperia, attore in molte fiction tv e ora regista di “Evil Things – Cose cattive”. Subito precisa, a scanso di equivoci: «Sono sulla buona via per disintossicarmi… Parlo del web, naturalmente, della droga non faccio uso». Meno male. Esce in una sola copia itinerante, secondo una logica “on demand” che il produttore-attore Luca Argentero ritiene innovativa, questo piccolo horror girato in quattro settimane, nel basso Piemonte, con soli 106 mila euro. “Low budget”, per dirla in gergo anglofono, e del resto gli interpreti, tutti italiani meno uno, hanno recitato in inglese, proprio per favorire una diffusione internazionale. Funzionerà? Chissà. Fenomeno clamorosi come “The Blair Witch Project”, “Paranormal Activity”, “Sinister” o “The Devil Inside” non accadono tutti i giorni, e tuttavia Argentero e Gandolfo sono sicuri di aver azzeccato formula e stile: 95 minuti di paura, tra citazioni bibliche e sevizie via web, voci camuffate e idiozie adolescenziali. Ma senza esagerare sul piano delle atrocità: a differenza di “Morituris” di Raffaele Picchio, dalla censura ministeriale proibito tout court, quindi anche ai maggiorenni adulti e vaccinati, “Evil Things” s’è beccato “solo” il divieto ai minori di 14 anni. Il che permetterà al film una vita più tranquilla, complice il tam-tam favorito, ancor prima che Gandolfo desse il primo ciak, da un sito fasullo creato apposta per alimentare la comunicazione “virale” sul temi della storia.

Dopo l’anteprima ad Asti, sono previste a febbraio proiezioni a Imperia, Genova, Mondovì e via dicendo, nella speranza che crescano in modo esponenziale le richieste da parte degli esercenti. E intanto Argentero parla di trattative per vendere il film in Canada, Germania, regno Unito… Domandiamo: e se ve lo ritrovate trasmesso in rete via streaming? «Meglio, sarà pubblicità» scherza il produttore sotto lo sguardo del regista e degli interpreti Pietro Ragusa, Nicola Sorrenti e Jennifer Mischiati (assenti giustificati, perché fuori Italia, Marta Gastini e Aaron Reg Moss). Non che lo spunto in chiave “cyber crime” sia proprio una novità: da “Intrappolato nella rete” a “Nella rete del serial killer” passando per la serie tv “Criminal Minds”, ne abbiamo visti di pazzoidi che prendono gusto ad ammazzare sotto lo sguardo goloso di internauti sempre connessi. Qui un Master toccato di testa, che si fa chiamare Gabriel, come l’arcangelo, e nasconde il viso dietro un maschera di latta, convoca in un minaccioso paesino di campagna i quattro finalisti di una sorta di sanguinario “Grande Fratello”: vincerà chi, a insindacabile giudizio degli utenti e del suddetto Master, si produrrà negli atti più crudeli e immorali. Gandolfo, il regista, confessa riferimenti  a “Saw”, a “Lasciami entrare”, alle tavole angoscianti del fumettista Enki Bilal, cita il saggio di Cesare Fiumi “La feroce gioventù”; soprattutto sostiene: «Lo scontro tra mondo fisico e mondo virtuale genera un corto circuito che, nel migliore dei casi, porta alla solitudine, nel peggiore alla follia». Appunto. Frase tormentone del film: «Senza penitenza non c’è redenzione». Oppure: «Io sono l’Alfa e l’Omega. Colui che era, che è, che verrà». Va bene che siamo un Paese cattolico, però ogni tanto si ride.

Michele Anselmi