L’angolo di Michele Anselmi

“In questa stanza costruiremo la pace, o non sarà mai pace”. La frase risuona verso la fine di “Oslo”, curioso film d’impianto teatrale che si può vedere in questi giorni su Sky Cinema 1. La pace in questione è quella, forse impossibile, tra israeliani e palestinesi, anche se il 13 settembre 1993, sotto lo sguardo benevolo del presidente americano Bill Clinton, parve concretizzarsi qualcosa di buono. Purtroppo durò poco l’illusione. Due anni dopo, nel 1995, Rabin fu ucciso in piazza da un sionista di destra contrario proprio agli accordi di Oslo e il 28 settembre del 2000 sarebbe partita la seconda Intifada.
Non sembra proprio un caso che “Oslo” sia stato coprodotto, per la Hbo, da Steven Spielberg, artista sensibile ai temi di carattere storico (li trovo i suoi film migliori). Qui il regista di “Munich” ingaggia il regista Bartlett Sher per far prendere aria, ma non troppa, all’omonima pièce teatrale del drammaturgo americano J. T. Rogers. Ne esce un film quasi tutto in interni, a parte qualche breve sequenza di battaglia girata in studio e molto materiale di repertorio, che ricostruisce la bizzarra procedura con la quale si misero le basi per quegli accordi epocali, detti appunto “di Oslo”.
Di chi fu il merito? In buona misura, almeno all’inizio, di una coppia di diplomatici norvegesi, moglie e marito nella vita, cioè Mona Juul e Terje Rød-Larsen. Furono loro, nel tentativo di porre un freno al sanguinoso confronto israelo-palestinese, a suggerire segretissimi e informali colloqui tra esponenti dei due Paesi in guerra, aggirando gli incontri formali (e inconcludenti) in corso a Washington. Così, alla chetichella, due intellettuali israeliani e un ministro palestinese esiliato a Tunisi, accompagnato da un pugnace collaboratore, si ritrovarono in una sontuosa e isolata dimora norvegese, con l’idea di provare a conoscersi, a parlarsi, pure a stringersi la mano, in vista di una trattativa più solida.
Il film, certo un po’ inventando ma sulla base di testimonianze documentate, racconta il farsi di questa inattesa confidenza tra nemici giurati, gli stop e le ripartenze, i sorrisi e le diffidenze, anche l’arrivo di nuovi esponenti, diciamo più ufficiali, con mandato diretto. Finché non entrò in campo il ministro Shimon Peres deciso a chiudere l’accordo, in un’estenuante e complessa telefonata notturna, con il capo dell’Olp, Yasser Arafat.
Ci si chiede, vedendo il film che dura quasi due ore: possibile che sia andata proprio così? Non saprei dire, lascio il giudizio agli esperti della materia. A volte però le svolte storiche nascono da piccoli gesti di buona volontà, e certo “Oslo” punta molto sul “fattore umano”, cioè sul resoconto, cadenzato dalle date, di questa diplomazia parallela che si nutrì anche di cibi buoni e serate conviviali, pur nella differenza radicale delle posizioni di partenza.
Purtroppo Sky offre la versione doppiata e quelle originale senza sottotitoli (vai a sapere perché), il che toglie qualcosa al film, a tratti un po’ bozzettistico, certo non memorabile ma parecchio interessante, non solo sul piano storico, ben recitato da attori anglosassoni, israeliani e palestinesi, illuminato con forti contrasti cromatici dal consueto direttore della fotografia di Spielberg, il polacco Janusz Zygmunt Kamiński.

Michele Anselmi